D.Lgs n. 152 del 11 maggio 1999
- Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento
della direttiva 91/271/Cee concernente il trattamento delle acque reflue
urbane e della direttiva 91/676/Cee relativa alla protezione delle acque
dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole.
(Aggiornato con le modifiche del D.lgs 18 agosto 2000, n. 258)
TITOLO I: PRINCIPI GENERALI
E COMPETENZE Articolo 1 (Finalità) 1. Il presente decreto definisce
la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e
sotterranee perseguendo i seguenti obiettivi: a) prevenire e ridurre l’inquinamento
e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati; b) conseguire il miglioramento
dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari
usi; c) perseguire usi sostenibili
e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili; d) mantenere la capacità
naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonché la capacità
di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate. 2. Il raggiungimento degli
obiettivi indicati al comma 1 si realizza attraverso i seguenti strumenti: a) l’individuazione di obiettivi
di qualità ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici; b) la tutela integrata degli
aspetti qualitativi e quantitativi nell’ambito di ciascun bacino idrografico
ed un adeguato sistema di controlli e di sanzioni; c) il rispetto dei valori
limite agli scarichi fissati dallo Stato, nonché la definizione
di valori limite in relazione agli obiettivi di qualità del corpo
recettore; d) l’adeguamento dei sistemi
di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi idrici, nell’ambito
del servizio idrico integrato di cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 36; e) l’individuazione di misure
per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento nelle zone vulnerabili
e nelle aree sensibili; f) l’individuazione di misure
tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo ed al riciclo delle
risorse idriche. 3. Le regioni a statuto ordinario
regolano la materia disciplinata dal presente decreto nel rispetto di quelle
disposizioni in esso contenute che, per la loro natura riformatrice costituiscono
principi fondamentali della legislazione statale ai sensi dell’articolo
117, primo comma, della Costituzione. Le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione
al presente decreto secondo quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle
relative norme di attuazione. Articolo 2 (Definizioni) 1. Ai fini del presente decreto
si intende per: a) "abitante equivalente":
il carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno
a 5 giorni (BOD5) pari a 60 grammi di ossigeno al giorno; b) "acque ciprinicole": le
acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti ai ciprinidi (Cyprinidae)
o a specie come i lucci, i pesci persici e le anguille; c) "acque costiere": le acque
al di fuori della linea di bassa marea o del limite esterno di un estuario; d) "acque salmonicole": le
acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti a specie come le
trote, i temoli e i coregoni; e) “estuario”: l’area di
transizione tra le acque dolci e le acque costiere alla foce di un fiume,
i cui limiti esterni verso il mare sono definiti con decreto del Ministro
dell’ambiente; in via transitoria sono fissati a cinquecento metri dalla
linea di costa; f) "acque dolci": le acque
che si presentano in natura con una bassa concentrazione di sali e sono
considerate appropriate per l'estrazione e il trattamento al fine di produrre
acqua potabile; g) “acque reflue domestiche”:
acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi
e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività
domestiche; h) «acque reflue industriali»:
qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o installazioni in
cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse
dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento; i) «acque reflue urbane»:
acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque
reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti
fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato; l) “acque sotterranee”: le
acque che si trovano al di sotto della superficie del terreno, nella zona
di saturazione e in diretto contatto con il suolo e il sottosuolo; m) «agglomerato»:
area in cui la popolazione, ovvero le attività economiche sono sufficientemente
concentrate così da rendere possibile, e cioè tecnicamente
ed economicamente realizzabile anche in rapporto ai benefici ambientali
conseguibili la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane
verso un sistema di trattamento di acque reflue urbane o verso un punto
di scarico finale; n) “applicazione al terreno”:
l'apporto di materiale al terreno mediante spandimento sulla superficie
del terreno, iniezione nel terreno, interramento, mescolatura con gli strati
superficiali del terreno; n-bis) “utilizzazione agronomica”:
la gestione di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione residuate
dalla lavorazione delle olive, ovvero di acque reflue provenienti da aziende
agricole e piccole aziende agroalimentari, dalla loro produzione all’applicazione
al terreno di cui alla lettera n), finalizzata all’utilizzo delle sostanze
nutritive e ammendanti nei medesimi contenute, ovvero al loro utilizzo
irriguo o fertirriguo; o) “autorità d’ambito”:
la forma di cooperazione tra comuni e province ai sensi dell’articolo 9,
comma 2, della legge 5 gennaio 1994, n. 36; o-bis) “gestore del servizio
idrico integrato”: il soggetto che in base alla convenzione di cui all’art.
11 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, gestisce i servizi idrici integrati
e, soltanto fino alla piena operatività del servizio idrico integrato,
il gestore esistente del servizio pubblico; p) “bestiame”: si intendono
tutti gli animali allevati per uso o profitto; q) “composto azotato”: qualsiasi
sostanza contenente azoto, escluso l’azoto allo stato molecolare gassoso; r) “concimi chimici”: qualsiasi
fertilizzante prodotto mediante procedimento industriale; s) “effluente di allevamento”:
le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame,
anche sotto forma di prodotto trasformato; t) “eutrofizzazione”: arricchimento
delle acque in nutrienti, in particolare modo di composti dell'azoto ovvero
del fosforo, che provoca una proliferazione delle alghe e di forme superiori
di vita vegetale, producendo una indesiderata perturbazione dell’equilibrio
degli organismi presenti nell’acqua e della qualità delle acque
interessate; u) “fertilizzante”: fermo
restando quanto disposto dalla legge 19 ottobre 1984, n.748,ai
fini del presente decreto è fertilizzante qualsiasi sostanza contenente,
uno o più composti azotati, sparsa sul terreno per stimolare la
crescita della vegetazione; sono compresi gli effluenti di allevamento,
i residui degli allevamenti ittici e i fanghi di cui alla lettera v); v)
“fanghi”: i fanghi residui, trattati o non trattati, provenienti dagli
impianti di trattamento delle acque reflue urbane; z) “inquinamento”: lo scarico
effettuato direttamente o indirettamente dall’uomo nel l'ambiente idrico
di sostanze o di energia le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo
la salute umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico,
compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque; aa) “rete fognaria”: il sistema
di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane; aa-bis) “fognature separate”:
la rete fognaria costituita da due condotte, una che canalizza le sole
acque meteoriche di dilavamento e può essere dotata di dispositivi
per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia, l’altra
che canalizza le altre acque reflue unitamente alle eventuali acque di
primapioggia; bb) “scarico”: qualsiasi
immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide
e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo
e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche
sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci
di acque previsti all’articolo 40; cc) “acque di scarico”: tutte
le acque reflue provenienti da uno scarico; dd) "trattamento appropriato":
il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo ovvero un
sistema di smaltimento che dopo lo scarico garantisca la conformità
dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità ovvero
sia conforme alle disposizioni del presente decreto; cc-bis) “scarichi esistenti”:
gli scarichi di acque reflue urbane che alla data del 13 giugno 1999 sono
in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente ovvero di impianti
di trattamento di acque reflue urbane per i quali alla stessa data siano
già state completate tutte le procedure relative alle gare di appalto
e all’assegnazione lavori; gli scarichi di acque reflue domestiche che
alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al regime autorizzativo
previgente; gli scarichi di acque reflue industriali che alla data del
13 giugno 1999 sono in esercizio e già autorizzati; ee) "trattamento primario":
il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo fisico ovvero
chimico che comporti la sedimentazione dei solidi sospesi, ovvero mediante
altri processi a seguito dei quali il BOD5 delle acque reflue in arrivo
sia ridotto almeno del 20% prima dello scarico e i solidi sospesi totali
delle acque reflue in arrivo siano ridotti almeno del 50%; ff) "trattamento secondario":
il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo che in genere
comporta il trattamento biologico con sedimentazioni secondarie, o un altro
processo in cui vengano rispettati i requisiti di cui alla tabella 1 dell'allegato
5; gg) “stabilimento industriale”
o, semplicemente, “stabilimento”: qualsiasi stabilimento nel quale si svolgono
attività commerciali o industriali che comportano la produzione,
la trasformazione ovvero l’utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella
3 dell’allegato 5 ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti
la presenza di tali sostanze nello scarico; hh) "valore limite di emissione":
limite di accettabilità di una sostanza inquinante contenuta in
uno scarico, misurata in concentrazione, ovvero in peso per unità
di prodotto o di materia prima lavorata, o in peso per unità di
tempo; ii) "zone vulnerabili": zone
di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati
di origine agricola o zootecnica in acque già inquinate o che potrebbero
esserlo in conseguenza di tali tipi di scarichi. Articolo 3 (Competenze) 1. Le competenze nelle materie
disciplinate dal presente decreto sono stabilite dal decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 112,e dagli altri provvedimenti statali e regionali adottati
ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59. 2. Lo Stato, le regioni,
le province, i comuni, le autorità di bacino, l’Agenzia nazionale
e le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente assicurano l’esercizio
delle competenze già spettanti alla data di entrata in vigore della
legge 15 marzo 1997, n. 59, fino all’attuazione delle disposizioni di cui
al comma 1. 3. In relazione alle funzioni
e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata
inattività che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall’appartenenza
all’Unione europea o pericolo di grave pregiudizio alla salute o all’ambiente
o in inottemperanza agli obblighi di informazione, il presidente del consiglio
dei ministri, su proposta dei ministri competenti, esercita i poteri sostitutivi
in conformità all’art. 5 del dlgs 31 marzo 1998, n. 112 fermi restando
i poteri di ordinanza previsti dall’ordinamento in caso di urgente necessità,
nonché quanto disposto dall’art. 53. Gli oneri economici connessi
all’attività di sostituzione sono posti a carico dell’ente inadempiente. 4. Le prescrizioni tecniche
necessarie all’attuazione del presente decreto sono stabilite negli allegati
al decreto stesso e con uno o più regolamenti adottati ai sensi
dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previa intesa
con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le provincie autonome di Trento e di Bolzano; attraverso i medesimi regolamenti
possono altresì essere modificati gli allegati al presente decreto
per adeguarli a sopravvenute esigenze o a nuove acquisizioni scientifiche
o tecnologiche. 5. Ai sensi dell’articolo
20 della legge 16 aprile 1987, n. 183, con decreto dei Ministri competenti
per materia, si provvede alla modifica degli allegati al presente decreto
per dare attuazione alle direttive che saranno emanate dall’Unione europea,
per le parti in cui queste modifichino modalità esecutive e caratteristiche
di ordine tecnico delle direttive dell’Unione europea recepite dal presente
decreto. 6. I consorzi di bonifica
e di irrigazione, anche attraverso appositi accordi di programma con le
competenti autorità, concorrono alla realizzazione di azioni di
salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque, anche al fine della
loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione dei corsi d’acqua
e della fitodepurazione. 7. Le regioni assicurano
la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato di qualità
delle acque e trasmettono all’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente
i dati conoscitivi e le informazioni relative all’attuazione del presente
decreto, nonché quelli prescritti dalla disciplina comunitaria,
secondo le modalità indicate con decreto del Ministro dell’ambiente,
di concerto con i Ministri competenti, d’intesa con la Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento
e di Bolzano. L’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente elabora
a livello nazionale, nell’ambito del Sistema informativo nazionale ambientale,
le informazioni ricevute e le trasmette ai Ministeri interessati e al Ministero
dell’ambiente anche per l’invio alla Commissione europea. Con lo stesso
decreto sono individuati e disciplinati i casi in cui le regioni sono tenute
a trasmettere al Ministero dell’ambiente i provvedimenti adottati ai fini
delle comunicazioni all’Unione europea o in ragione degli obblighi internazionali
assunti. 8. Sono fatte salve le competenze
spettanti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento
e di Bolzano ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme di
attuazione. 9. Le regioni favoriscono
l’attiva partecipazione di tutte le parti interessate all’attuazione del
presente decreto in particolare in sede di elaborazione, revisione e aggiornamento
dei piani di tutela. TITOLO II: OBIETTIVI DI QUALITÀ Capo I: (Obiettivo di qualità
ambientale e obiettivo di qualità per specifica destinazione) Articolo 4 (Disposizioni
generali) 1. Al fine della tutela e
del risanamento delle acque superficiali e sotterranee, il presente decreto
individua gli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi
idrici significativi e gli obiettivi di qualità per specifica destinazione
per i corpi idrici di cui all’articolo 6, da garantirsi su tutto il territorio
nazionale. 2. L’obiettivo di qualità
ambientale è definito in funzione della capacità dei corpi
idrici di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare
comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate. 3. L’obiettivo di qualità
per specifica destinazione individua lo stato dei corpi idrici idoneo a
una particolare utilizzazione da parte dell’uomo, alla vita dei pesci e
dei molluschi. 4. In attuazione del presente
decreto sono adottate, mediante il piano di tutela delle acque di cui all’articolo
44, misure atte a conseguire i seguenti obiettivi entro il 31 dicembre
2016: a) sia mantenuto o raggiunto
per i corpi idrici significativi superficiali e sotterranei l’obiettivo
di qualità ambientale corrispondente allo stato di “buono” come
definito nell’Allegato 1; b) sia mantenuto, ove già
esistente, lo stato di qualità ambientale “elevato” come definito
nell’Allegato 1; c) siano mantenuti o raggiunti
altresì per i corpi idrici a specifica destinazione di cui all’articolo
6 gli obiettivi di qualità per specifica destinazione di cui all’allegato
2, salvo i termini di adempimento previsti dalla normativa previgente. 5. Qualora per un corpo idrico
siano designati obiettivi di qualità ambientale e per specifica
destinazione che prevedono per gli stessi parametri valori limite diversi,
devono essere rispettati quelli più cautelativi; quando i limiti
più cautelativi si riferiscono al conseguimento dell’obiettivo di
qualità ambientale, il rispetto degli stessi decorre dal 31 dicembre
2016. 6. Il piano di tutela provvede
al coordinamento degli obiettivi di qualità ambientale con i diversi
obiettivi di qualità per specifica destinazione 7. Le regioni possono altresì
definire obiettivi di qualità ambientale più elevati, nonché
individuare ulteriori destinazioni dei corpi idrici e relativi obiettivi
di qualità. Articolo 5 (Individuazione
e perseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale) 1. Entro il 30 aprile 2003,
sulla base dei dati già acquisiti e dei risultati del primo rilevamento
effettuato ai sensi degli artt. 42 e 43, le regioni identificano per ciascun
corpo idrico significativo, o parte di esso, la classe di qualità
corrispondente a una di quelle indicate nell’allegato 1 2. In relazione alla classificazione
di cui al comma 1, le regioni stabiliscono e adottano le misure necessarie
al raggiungimento o al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale
di cui all’articolo 4, comma 4, lettere a) e b), tenendo conto del carico
massimo ammissibile ove fissato sulla base delle indicazioni dell’autorità
di bacino di rilievo nazionale e interregionale per i corpi idrici sovraregionali,
assicurando in ogni caso per tutti i corpi idrici l’adozione di misure
atte ad impedire un ulteriore degrado. 3. Al fine di assicurare
entro il 31 dicembre 2016 il raggiungimento dell’obiettivo di qualità
ambientale corrispondente allo stato “buono”, entro il 31 dicembre 2008
ogni corpo idrico superficiale classificato o tratto di esso deve conseguire
almeno i requisiti dello stato “sufficiente” di cui all’allegato 1. 4. Le regioni possono motivatamente
stabilire termini diversi per i corpi idrici che presentano condizioni
tali da non consentire il raggiungimento dello stato “buono” entro il 31
dicembre 2016. 5. Le regioni possono motivatamente
stabilire obiettivi di qualità ambientale meno rigorosi per taluni
corpi idrici, qualora ricorra almeno una delle seguenti condizioni: a) il corpo idrico ha subito
gravi ripercussioni in conseguenza dell’attività umana che rendono
manifestamente impossibile o economicamente insostenibile un significativo
miglioramento dello stato qualitativo; b) il raggiungimento dell’obiettivo
di qualità previsto non è perseguibile a causa della natura
litologica ovvero geomorfologica del bacino di appartenenza; c) l’esistenza di circostanze
impreviste o eccezionali, quali alluvioni e siccità. 6. Quando ricorrono le condizioni
di cui al comma 5, la definizione di obiettivi meno rigorosi è consentita
purché i medesimi non comportino l’ulteriore deterioramento dello
stato del corpo idrico e, fatto salvo il caso di cui al comma 5, lettera
b), non sia pregiudicato il raggiungimento degli obiettivi fissati dal
presente decreto in altri corpi idrici all’interno dello stesso bacino
idrografico. 7.
Nei casi previsti dai commi 4 e 5, i piani di tutela devono comprendere
le misure volte alla tutela del corpo idrico, ivi compresi i provvedimenti
integrativi o restrittivi della disciplina degli scarichi ovvero degli
usi delle acque. I tempi e gli obiettivi, nonché le relative misure,
sono rivisti almeno ogni sei anni ed ogni eventuale modifica deve essere
inserita come aggiornamento del piano. Articolo 6 (Obiettivo di
qualità per specifica destinazione) 1. Sono acque a specifica
destinazione funzionale: a) le acque dolci superficiali
destinate alla produzione di acqua potabile; b) le acque destinate alla
balneazione; c) le acque dolci che richiedono
protezione e miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci; d) le acque destinate alla
vita dei molluschi. 2. Fermo restando quanto
disposto dall’articolo 4, commi 4 e 5, per le acque indicate al comma 1,
è perseguito, per ciascun uso, l’obiettivo di qualità per
specifica destinazione stabilito nell’allegato 2, fatta eccezione per le
acque di balneazione. 3. Le regioni, al fine di
un costante miglioramento dell’ambiente idrico, stabiliscono programmi,
che vengono recepiti nel piano di tutela, per mantenere, ovvero adeguare,
la qualità delle acque di cui al comma 1 all’obiettivo di qualità
per specifica destinazione. Relativamente alle acque di cui al comma 1
le regioni predispongono apposito elenco che provvedono ad aggiornare periodicamente. Capo II: Acque a specifica
destinazione Articolo 7 (Acque superficiali
destinate alla produzione di acqua potabile) 1. Le acque dolci superficiali
per essere utilizzate o destinate alla produzione di acqua potabile, sono
classificate dalle regioni nelle categorie A1, A2 e A3 secondo le caratteristiche
fisiche, chimiche e microbiologiche di cui alla tabella 1/A dell’allegato
2. 2. A seconda della categoria
di appartenenza, le acque dolci superficiali di cui al comma 1 sono sottoposte
ai seguenti trattamenti: a) Categoria A1: trattamento
fisico semplice e disinfezione; b) Categoria A2: trattamento
fisico e chimico normale e disinfezione; c) Categoria A3: trattamento
fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione. 3. Le regioni inviano i dati
relativi al monitoraggio e classificazione delle acque di cui ai commi
1 e 2 al Ministero della sanità, che provvede al successivo inoltro
alla Commissione europea. 4. Le acque dolci superficiali
che presentano caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche qualitativamente
inferiori ai valori limite imperativi della categoria A3 possono essere
utilizzate, in via eccezionale, solo nel caso in cui non sia possibile
ricorrere ad altre fonti di approvvigionamento e a condizione che le acque
siano sottoposte ad opportuno trattamento che consenta di rispettare le
norme di qualità delle acque destinate al consumo umano. Articolo 8 (Deroghe) 1. Per le acque superficiali
destinate alla produzione di acqua potabile, le regioni possono derogare
ai valori dei parametri di cui alla tabella 1/A dell’allegato 2: a) in caso di inondazioni
o di catastrofi naturali; b) limitatamente ai parametri
contraddistinti nell’Allegato 2 tabella 1/A dal simbolo (o) in caso di
circostanze meteorologiche eccezionali o condizioni geografiche particolari; c) quando le acque superficiali
si arricchiscono naturalmente di talune sostanze con superamento dei valori
fissati per le categorie A1, A2 e A3; d) nel caso di laghi poco
profondi e con acque quasi stagnanti, per i parametri indicati con un asterisco
nell’Allegato 2, tabella 1/A, fermo restando che tale deroga è applicabile
unicamente ai laghi aventi una profondità non superiore ai 20 metri,
che per rinnovare le loro acque impieghino più di un anno e nel
cui specchio non defluiscano acque di scarico. 2. Le deroghe di cui al comma
1 non sono ammesse se ne derivi concreto pericolo per la salute pubblica. Articolo 9 (Acque di balneazione) 1. Le acque destinate alla
balneazione devono rispondere ai requisiti di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 8 giugno 1982, n. 470, e successive modificazioni. 2. Per le acque che risultano
ancora non idonee alla balneazione ai sensi del citato decreto Presidente
della Repubblica n. 470 del 1982 le regioni, entro l’inizio della stagione
balneare successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto
e, successivamente, prima dell’inizio della stagione balneare, con periodicità
annuale, comunicano al Ministero dell’ambiente, secondo le modalità
indicate con il decreto di cui all’articolo 3, comma 7, tutte le informazioni
relative alle cause ed alle misure che intendono adottare. Articolo 10 (Acque dolci
idonee alla vita dei pesci) 1. Ai fini della designazione
delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per esser idonee
alla vita dei pesci, sono privilegiati: a) i corsi d’acqua che attraversano
il territorio di parchi nazionali e riserve naturali dello Stato, nonché
di parchi e riserve naturali regionali; b) i laghi naturali ed artificiali,
gli stagni ed altri corpi idrici, situati nei predetti ambiti territoriali; c) le acque dolci superficiali
comprese nelle zone umide dichiarate “di importanza internazionale” ai
sensi della convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con
il decreto del Presidente della Repubblica del 13 marzo 1976, n. 448, sulla
protezione delle zone umide, nonché quelle comprese nelle “oasi
di protezione della fauna”, istituite dalle regioni e province autonome
ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n.157; d) le acque dolci superficiali
che, ancorché non comprese nelle precedenti categorie, presentino
un rilevante interesse scientifico, naturalistico, ambientale e produttivo
in quanto costituenti habitat di specie animali o vegetali rare o in via
di estinzione, ovvero in quanto sede di complessi ecosistemi acquatici
meritevoli di conservazione o, altresì, sede di antiche e tradizionali
forme di produzione ittica, che presentano un elevato grado di sostenibilità
ecologica ed economica. 2. Sono escluse dall’applicazione
del presente articolo e degli articoli 11, 12 e 13, le acque dolci superficiali
dei bacini naturali o artificiali utilizzati per l’allevamento intensivo
delle specie ittiche, nonché i canali artificiali adibiti a uso
plurimo, di scolo o irriguo, e quelli appositamente costruiti per l’allontanamento
dei liquami e di acque reflue industriali. 3. Le acque dolci superficiali
che presentino valori dei parametri di qualità conformi con quelli
imperativi previsti dalla tabella 1/B dell’allegato 2, sono classificate,
entro quindici mesi dalla designazione, come acque dolci “salmonicole”
o “ciprinicole”. 4. La designazione e la classificazione
ai sensi dei commi 1 e 3 sono effettuate dalle regioni, ricorrendone le
condizioni, devono essere gradualmente estese sino a coprire l’intero corpo
idrico, ferma restando la possibilità di designare e classificare
nell’ambito del medesimo, tratti come “acqua salmonicola” e tratti come
“acqua ciprinicola”. 5. Qualora sia richiesto
da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della qualità
delle acque, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della
provincia, nell’ambito delle rispettive competenze, adottano provvedimenti
specifici e motivati, integrativi o restrittivi degli scarichi ovvero degli
usi delle acque. Articolo 11 (Successive designazioni
e revisioni) 1. Le regioni sottopongono
a revisione la designazione e la classificazione di alcune acque dolci
idonee alla vita dei pesci in funzione di elementi imprevisti o sopravvenuti. Articolo 12 (Accertamento
della qualità delle acque idonee alla vita dei pesci) 1. Le acque designate e classificate
si considerano idonee alla vita dei pesci se rispondono ai requisiti riportati
nella tabella 1/B dell’allegato 2. 2. Se dai campionamenti risulta
che non sono rispettati uno o più valori dei parametri riportati
nella tabella 1/B dell’Allegato 2, le autorità competenti al controllo
accertano se l’inosservanza sia dovuta a fenomeni naturali, a causa fortuita,
ad apporti inquinanti o a eccessivi prelievi e propongono all’autorità
competente le misure appropriate. 3. Ai fini di una più
completa valutazione delle qualità delle acque, le regioni promuovono
la realizzazione di idonei programmi di analisi biologica delle acque designate
e classificate. Articolo 13 (Deroghe) 1. Per le acque dolci superficiali
designate o classificate per essere idonee alla vita dei pesci, le regioni
possono derogare al rispetto dei parametri indicati nella tabella 1/B dell’allegato
2, dal simbolo (o), in caso di circostanze meteorologiche eccezionali o
speciali condizioni geografiche e, quanto al rispetto dei parametri riportati
nella medesima tabella, per arricchimento naturale del corpo idrico da
sostanze provenienti dal suolo senza intervento diretto dell’uomo. Articolo 14 (Acque destinate
alla vita dei molluschi) 1. Le regioni designano,
nell’ambito delle acque marine costiere e salmastre, che sono sede di banchi
e popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti
protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi
e per contribuire alla buona qualità dei prodotti della molluschicoltura
direttamente commestibili per l’uomo. 2. Le regioni possono procedere
a designazioni complementari, oppure alla revisione delle designazioni
già effettuate, in funzione dell’esistenza di elementi imprevisti
al momento della designazione. 3. Qualora sia richiesto
da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della qualità
delle acque, il Presidente della Giunta regionale, il Presidente della
provincia e il Sindaco, nell’ambito delle rispettive competenze, adottano
provvedimenti specifici e motivati, integrativi o restrittivi degli scarichi
ovvero degli usi delle acque. Articolo 15 (Accertamento
della qualità delle acque destinate alla vita dei molluschi) 1. Le acque designate ai
sensi dell’articolo 14 devono rispondere ai requisiti di qualità
di cui alla tabella 1/C dell’allegato 2. 2. Qualora le acque designate
non risultano conformi ai requisiti di cui alla tabella 1/C dell’allegato
2, le regioni stabiliscono programmi per ridurre l’inquinamento. 3. Se da un campionamento
risulta che uno o più valori di parametri di cui alla tabella 1/C
dell’allegato 2, non sono rispettati, le autorità competenti al
controllo accertano se l’inosservanza sia dovuta a fenomeni naturali, a
causa fortuita o ad altri fattori di inquinamento. In tali casi le regioni
adottano misure appropriate. Articolo 16 (Deroghe) 1. Per le acque destinate
alla vita dei molluschi, le regioni possono derogare ai requisiti alla
tabella 1/C dell’allegato 2, in caso di condizioni meteorologiche o geografiche
eccezionali. Articolo 17 (Norme sanitarie) 1. Le attività di
cui agli articoli 14, 15 e 16 lasciano impregiudicata l’attuazione delle
norme sanitarie relative alla classificazione delle zone di produzione
e di stabulazione dei molluschi bivalvi vivi, effettuata ai sensi del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 530. TITOLO III: TUTELA DEI CORPI
IDRICI E DISCIPLINA DEGLI SCARICHI Capo I: Aree richiedenti
specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento Articolo 18 (Aree sensibili) 1. Le aree sensibili sono
individuate secondo i criteri dell’allegato 6. 2. Ai fini della prima individuazione
sono designate aree sensibili: a) i laghi di cui all’allegato
6, nonché i corsi d’acqua a esse afferenti per un tratto di 10 chilometri
dalla linea di costa; b) le aree lagunari di Orbetello,
Ravenna e Piallassa-Baiona, le Valli di Comacchio, i laghi salmastri e
il delta del Po; c) le zone umide individuate
ai sensi della convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva
con dpr 13 marzo 1976, n. 448; d) le aree costiere dell’Adriatico
nordoccidentale dalla foce dell’Adige al confine meridionale del comune
di Pesaro e i corsi d’acqua a essi afferenti per un tratto di 10 chilometri
dalla linea di costa. 3. Resta fermo quanto disposto
dalla legislazione vigente relativamente alla tutela di Venezia. 4. Sulla base dei criteri
stabiliti nell’allegato 6 e sentita l’autorità di bacino, le regioni,
entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, possono
designare ulteriori aree sensibili ovvero individuano all’interno delle
aree indicate nel comma 2, i corpi idrici che non costituiscono aree sensibili. 5. Le regioni, sulla base
dei criteri previsti dall’allegato 6, delimitano i bacini drenanti nelle
aree sensibili che contribuiscono all’inquinamento di tali aree. 6. Ogni quattro anni si provvede
alla reidentificazione delle aree sensibili e dei rispettivi bacini drenanti
che contribuiscono all’inquinamento delle aree sensibili. 7. Le nuove aree sensibili
identificate ai sensi dei commi 4 e 6 devono soddisfare i requisiti dell’art.
32 entro sette anni dall’identificazione. Articolo 19 (Zone vulnerabili
da nitrati di origine agricola) 1. Le zone vulnerabili sono
individuate secondo i criteri di cui all’allegato 7/A-I. 2. Ai fini della prima individuazione
sono designate zone vulnerabili le aree elencate nell’allegato 7/A-III. 3. Entro sei mesi dalla data
di entrata in vigore del presente decreto, sulla base dei dati disponibili,
e per quanto possibile sulla base delle indicazioni stabilite nell’allegato
7/A-I, le regioni, sentita l’Autorità di bacino, possono individuare
ulteriori zone vulnerabili ovvero, all’interno delle zone indicate nell’allegato
7/A-III, le parti che non costituiscono zone vulnerabili. 4. Almeno ogni quattro anni
le regioni, sentita l’Autorità di bacino, rivedono o completano
le designazioni delle zone vulnerabili per tener conto dei cambiamenti
e fattori imprevisti al momento della precedente designazione. A tal fine
le regioni predispongono e attuano, ogni quattro anni, un programma di
controllo per verificare le concentrazioni dei nitrati nelle acque dolci
per il periodo di un anno, secondo le prescrizioni di cui all’allegato
7/A-I, nonché riesaminano lo stato eutrofico causato da azoto delle
acque dolci superficiali, delle acque di transizione e delle acque marine
costiere. 5. Nelle zone individuate
ai sensi dei commi 2, 3 e 4 devono essere attuati i programmi di azione
di cui al comma 6, nonché le prescrizioni contenute nel codice di
buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le politiche
agricole in data 19.4.1999,pubblicato
nel S.O. alla G.U. n. 102 del 4.5.1999. 6. Entro un anno dall’entrata
in vigore del presente decreto per le zone designate ai sensi dei commi
2 e 3 ed entro un anno dalla data di designazione per le ulteriori zone
di cui al comma 4, le regioni, sulla base delle indicazioni e delle misure
di cui all’allegato 7/A-IV, definiscono ovvero rivedono, se già
posti in essere, programmi d’azione obbligatori per la tutela e il risanamento
delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di origine agricola, e
provvedono alla loro attuazione nell’anno successivo per le zone vulnerabili
di cui ai commi 2 e 3 e nei successivi quattro anni per le zone di cui
al comma 4. 7. Le regioni provvedono,
inoltre, a: a) integrare, se del caso,
in relazione alle esigenze locali, il codice di buona pratica agricola,
stabilendone le modalità di applicazione; b) predisporre ed attuare
interventi di formazione e di informazione degli agricoltori sul programma
di azione e sul codice di buona pratica agricola; c) elaborare ed applicare
entro quattro anni a decorrere dalla definizione o revisione dei programmi
di cui al comma 6, i necessari strumenti di controllo e verifica dell’efficacia
dei programmi stessi sulla base dei risultati ottenuti; ove necessario,
modificare o integrare tali programmi individuando, tra le ulteriori misure
possibili, quelle maggiormente efficaci, tenuto conto dei costi di attuazione
delle misure stesse. 8. Le variazioni apportate
alle designazioni, i programmi di azione, i risultati delle verifiche dell’efficacia
degli stessi e le revisioni effettuate devono esserecomunicati
al Ministero dell’ambiente, secondo le modalità indicate nel decreto
di cui all’articolo 3, comma 7. Al Ministero per le politiche agricole
è data tempestiva notizia delle integrazioni apportate al codice
di buona pratica agricola di cui al comma 7, lettera a) nonché degli
interventi di formazione e informazione. 9. Al fine di garantire un
generale livello di protezione delle acque il codice di buona pratica agricola
è di raccomandata applicazione al di fuori delle zone vulnerabili. Articolo 20 (Zone vulnerabili
da prodotti fitosanitari e altre zone vulnerabili) 1. Con le modalità
previste dall’articolo 19 e sulla base delle indicazioni contenute nell’Allegato
7/B, le regioni identificano le aree di cui all’articolo 5, comma 21, del
decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, allo scopo di proteggere le
risorse idriche o altri comparti ambientali dall’inquinamento derivante
dall’uso di prodotti fitosanitari. 2. Le regioni e le autorità
di bacinoverificano la presenza
nel territorio di competenza di aree soggette o minacciate da fenomeni
di siccità, degrado del suolo e processi di desertificazione e le
designano quali aree vulnerabili alla desertificazione. 3. Per le aree di cui al
comma 2, nell’ambito della pianificazione di bacino e della sua attuazione,
sono adottate specifichemisure di
tutela, secondo i criteri previsti nel Piano d’Azione Nazionale di cui
alla delibera CIPE del 22 dicembre 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
n. 39 del 17 febbraio 1999. Articolo 21 (Disciplina delle
aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al
consumo umano) 1. Su proposta delle autorità
d’ambito, le regioni per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative
delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano erogate
a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico
interesse, nonché per la tutela dello stato delle risorse, individuano
le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto,
nonché, all’interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica
della falda, le zone di protezione. 2. Per gli approvvigionamenti
diversi da quelli di cui al comma 1, le autorità competenti impartiscono,
caso per caso, le prescrizioni necessarie per la conservazione, la tutela
della risorsa e il controllo delle caratteristiche qualitative delle acque
destinate al consumo umano. 3. Per la gestione delle
aree di salvaguardia si applicano le disposizioni dell’art. 13 della legge
5 gennaio 1994, n. 36, e le disposizioni dell’art. 24 della stessa legge,
anche per quanto riguarda eventuali indennizzi per le attività preesistenti. 4. La zona di tutela assoluta
è costituita dall’area immediatamente circostante le captazioni
o derivazioni; essa deve avere un’estensione in caso di acque sotterranee
e, ove possibile per le acque superficiali, di almeno dieci metri di raggio
dal punto di captazione, deve essere adeguatamente protetta e adibita esclusivamente
a opere di captazione o presa e a infrastrutture di servizio. 5. La zona di rispetto è
costituita dalla porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta
da sottoporre a vincoli e destinazioni d’uso tali da tutelare qualitativamente
e quantitativamente la risorsa idrica captata e può essere suddivida
in zona di rispetto ristretta e zona di rispetto allargata in relazione
alla tipologia dell’opera di presa o captazione e alla situazione locale
di vulnerabilità e rischio della risorsa. In particolare nella zona
di rispetto sono vietati l’insediamento dei seguenti centri di pericolo
e lo svolgimento delle seguenti attività: a) dispersione di fanghi
e acque reflue, anche se depurati; b) accumulo di concimi chimici,
fertilizzanti o pesticidi; c) spandimento di concimi
chimici, fertilizzanti o pesticidi, salvo che l’impiego di tali sostanze
sia effettuato sulla base delle indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione
che tenga conto della natura dei suoli, delle colture compatibili, delle
tecniche agronomiche impiegate e della vulnerabilità delle risorse
idriche; d) dispersione nel sottosuolo
di acque meteoriche provenienti da piazzali e strade; e) aree cimiteriali; f) apertura di cave che possono
essere in connessione con la falda; g) apertura di pozzi a eccezione
di quelli che estraggono acque destinate al consumo umano e di quelli finalizzati
alla variazione dell’estrazione e alla protezione delle caratteristiche
quali-quantitative della risorsa idrica; h) gestioni di rifiuti; i) stoccaggio di prodotti
ovvero sostanze chimiche pericolose e sostanze radioattive; l) centri di raccolta, demolizione
e rottamazione di autoveicoli; m) pozzi perdenti; n) pascolo e stabulazione
di bestiame che ecceda i 170 chilogrammi per ettaro di azoto presente negli
effluenti, al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione. È
comunque vietata la stabulazione di bestiame nella zona di rispetto ristretta. 6. Per gli insediamenti o
le attività di cui al comma 5, preesistenti, ove possibile e comunque
a eccezione delle aree cimiteriali, sono adottate le misure per il loro
allontanamento: in ogni caso deve essere garantita la loro messa in sicurezza.
Le regioni e le province autonome disciplinano all’interno delle zone di
rispetto le seguenti strutture o attività: a) fognature; b) edilizia residenziale
e relative opere di urbanizzazione; c) opere viarie, ferroviarie
e in genere infrastrutture di servizio; d) le pratiche agronomiche
e i contenuti dei piani di utilizzazione di cui alla lettera c) del comma
5. 7. In assenza dell’individuazione
da parte della regione della zona di rispetto ai sensi del comma 1, la
medesima ha un’estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione
o di derivazione. 8. Le zone di protezione
devono essere delimitate secondo le indicazioni delle regioni per assicurare
la protezione del patrimonio idrico. In esse si possono adottare misure
relative alla destinazione del territorio interessato, limitazioni e prescrizioni
per gli insediamenti civili, produttivi, turistici, agroforestali e zootecnici
da inserirsi negli strumenti urbanistici comunali, provinciali, regionali,
sia generali sia di settore. 9. Le regioni, al fine della
protezione delle acque sotterranee, anche di quelle non ancora utilizzate
per l’uso umano, individuano e disciplinano, all’interno delle zone di
protezione, le seguenti aree: a) aree di ricarica della
falda; b) emergenze naturali e artificiali
della falda; c) zone di riserva. Capo II: Tutela quantitativa
della risorsa e risparmio idrico Articolo 22 (Pianificazione
del bilancio idrico) 1. La tutela quantitativa
della risorsa concorre al raggiungimento degli obiettivi di qualità
attraverso una pianificazione delle utilizzazioni delle acque volta ad
evitare ripercussioni sulla qualità delle stesse e a consentire
un consumo idrico sostenibile. 2. Nei piani di tutela sono
adottate le misure volte ad assicurare l’equilibrio del bilancio idrico
come definito dall’Autorità di bacino, nel rispetto delle priorità
della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e tenendo conto dei fabbisogni, delle
disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità
di ravvenamento della falda e delle destinazioni d’uso della risorsa compatibili
con le relative caratteristiche qualitative e quantitative. 3. Le regioni definiscono
sulla base delle linee guida di cui al comma 4 e dei criteri adottati dai
comitati istituzionali delle autorità di bacino gli obblighi di
installazione e manutenzione in regolare stato di funzionamento di idonei
dispositivi per la misurazione delle portate e dei volumi d’acqua pubblica
derivati, in corrispondenza dei punti di prelievo e, ove presente, di restituzione,
nonché gli obblighi e le modalità di trasmissione dei risultati
delle misurazioni all’Autorità concedente per il loro successivo
inoltro alla regione e alle autorità di bacino competenti. Le autorità
di bacino provvedano a trasmettere i dati in proprio possesso all’Agenzia
nazionale per la protezione dell’ambiente secondo le modalità di
cui all’art. 3, comma 7. 4. Il Ministro dei lavori
pubblici provvede entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente
decreto a definire, di concerto con gli altri Ministri competenti e previa
intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le provincie autonome di Trento e di Bolzano, le linee guida per la predisposizione
del bilancio idrico di bacino, comprensive dei criteri per il censimento
delle utilizzazioni in atto e per la definizione del minimo deflusso vitale. 5. Salvo quanto previsto
al comma 6, tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di
entrata in vigore del presente decreto sono regolate dall’autorità
concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo
deflusso vitale nei corpi idrici come previsto dall’art. 3, comma 1, lettera
i), della legge 18 maggio 1989, n. 183 e dall’art. 3, comma 3, della legge
5/1/1994, n. 36, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione
di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa
riduzione del canone demaniale di concessione. 6. Per le finalità
di cui ai commi 1 e 2 le autorità concedenti, a seguito del censimento
di tutte le utilizzazioni in atto nel medesimo corpo idrico provvedono,
ove necessario, alla loro revisione, disponendoprescrizioni
o limitazioni temporali o quantitative, senza che ciò possa dar
luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione,
fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione. 6-bis. Nel provvedimento
di concessione preferenziale, rilasciato ai sensi dell’art. 4 del regio
decreto 11/12/1933, n. 1775, sono previsti i rilasci volti a garantire
il minimo deflusso vitale nei corpi idrici e le prescrizioni necessarie
ad assicurare l’equilibrio del bilancio idrico. Articolo 23 (Modifiche al
Regio Decreto 11 dicembre 1933, n.1775) 1. Il secondo comma dell’articolo
7 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici
approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, introdotto dall’articolo
3 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, è sostituito dal
seguente: “Le domande di cui al primo
comma relative sia alle grandi sia alle piccole derivazioni sono altresì
trasmesse alle Autorità di bacino territorialmente interessate che,
nel termine massimo di quaranta giorni dalla ricezione, comunicano il proprio
parere all’ufficio istruttore in ordine alla compatibilità della
utilizzazione con le previsioni del piano di tutela e, anche in attesa
di approvazione dello stesso, ai fini del controllo sull’equilibrio del
bilancio idrico o idrologico. Decorso il predetto termine senza che sia
intervenuta alcuna pronuncia, il parere si intende espresso in senso favorevole.”. 2. Il comma 1 dell’articolo
9 del regio decreto 11 dicembre 1933, n.1775, così come sostituito
dall’articolo 4 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, è
sostituito dal seguente: “1. Tra più domande
concorrenti, completata l’istruttoria di cui agli articoli 7 e 8, è
preferita quella che da sola o in connessione con altre utenze concesse
o richieste presenti la più razionale utilizzazione delle risorse
idriche in relazione ai seguenti criteri: a) l’attuale livello di soddisfacimento
delle esigenze essenziali dei concorrenti anche da parte dei servizi pubblici
di acquedotto o di irrigazione, evitando ogni spreco e destinando preferenzialmente
le risorse qualificate all’uso potabile; b) le effettive possibilità
di migliore utilizzo delle fonti in relazione all’uso; c) le caratteristiche quantitative
e qualitative del corpo idrico; d) la quantità e la
qualità dell’acqua restituita rispetto a quella prelevata. 1-bis. È preferita
la domanda che, per lo stesso tipo di uso, garantisce la maggior restituzione
d’acqua in rapporto agli obiettivi di qualità dei corpi idrici.
In caso di più domande concorrenti per usi industriali è
altresì preferita quella del richiedente che aderisce al sistema
ISO 14001 ovvero al sistema di cui al regolamento CEE n. 1836/93 del Consiglio
del 29 giugno 1993 sull’adesione volontaria delle imprese del settore industriale
a un sistema comunitario di ecogestione e audit.”. 3. L’art. 12-bis del regio
decreto 11/12/1933, n. 1775, introdotto dall’art. 5 del dl 12/7/1993, n.
275, è sostituito dal seguente: «Articolo 12-bis 1. Il provvedimento di concessione
è rilasciato se non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento
degli obiettivi di qualità definiti per il corso d’acqua interessato
e se è garantito il minimo deflusso vitale, tenuto conto delle possibilità
di utilizzo di acque reflue depurate o di quelle provenienti dalla raccolta
di acque piovane, sempre che ciò risulti economicamente sostenibile. Nelle condizioni del disciplinare
sono fissate, ove tecnicamente possibile, la quantità e le caratteristiche
qualitative dell’acqua restituita. Analogamente, nei casi di prelievo da
falda si tiene conto della necessità di assicurare l’equilibrio
complessivo tra i prelievi e le capacità di ricarica dell’acquifero,
anche al fine di evitare fenomeni di intrusione di acque salate o inquinate,
e quant’altro sia utile in funzione del controllo del miglior regime delle
acque. 2. L’utilizzo di risorse
qualificate con riferimento a quelle prelevate da sorgenti o falde o comunque
riservate al consumo umano, può essere assentito per usi diversi
da quello potabile sempre che non vi sia possibilità di riutilizzo
di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane,
ovvero se il riutilizzo sia economicamente insostenibile, solo nei casi
di ampia disponibilità delle risorse predette, di accertata carenza
qualitativa e quantitativa di fonti alternative di approvvigionamento;
in tal caso, il canone di utenza per uso diverso da quello potabile è
triplicato. 3. Sono escluse le concessioni
a uso idroelettrico i cui impianti sono posti in serie con gli impianti
di acquedotto. 4. L’articolo 17 del regio
decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, è sostituito dal seguente: 1. Salvo quanto previsto
dall’art. 93 e dall’art. 28, commi 3 e 4, della legge 5/1/1994, n. 36,
è vietato derivare o utilizzare acqua pubblica senza un provvedimento
autorizzativo o concessorio dell’autorità competente. Nel caso di
violazione del disposto del comma 1, l’amministrazione competente dispone
la cessazione dell’utenza abusiva e il contravventore, fatti salvi ogni
altro adempimento o comminatoria previsti dalle leggi vigenti, è
tenuto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5 a 50
milioni di lire. Nei casi di particolare tenuità si applica la sanzione
amministrativa pecuniaria da 500 mila lire a 3 milioni. Alla sanzione prevista
dal presente articolo non si applica il pagamento in misura ridotta di
cui all’art. 16 della legge 24/11/1981, n. 689. È in ogni caso dovuta
una somma pari ai canoni non corrisposti. L’autorità competente,
con espresso provvedimento nel quale sono stabilite le necessarie cautele,
può eccezionalmente consentire la continuazione provvisoria del
prelievo in presenza di particolari ragioni di interesse pubblico generale,
purché l’utilizzazione non risulti in palese contrasto con i diritti
di terzi e con il buon regime delle acque. 5. E’ soppresso il secondo
comma dell’articolo 54 del regio decreto 11 dicembre 1933, n.1775. 6. Fatta salva la normativa
transitoria di attuazione dell’articolo 1 della legge 5 gennaio 1994, n.
36, per le derivazioni o utilizzazioni di acqua pubblica, in tutto o in
parte abusivamente in atto, la sanzione di cui all’articolo 17, del regio
decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, come modificato dal presente articolo,
è ridotta a un quinto qualora sia presentata la domanda in sanatoria
entro il 31 dicembre 2000. Non sono soggetti a tale adempimento né
al pagamento della sanzione coloro che abbiano presentato comunque domanda
prima della data di entrata in vigore del presente decreto. La concessione
in sanatoria è rilasciata nel rispetto della legislazione vigente
e delle utenze regolarmente assentite. In pendenza del procedimento istruttorio
della concessione in sanatoria, l’utilizzazione può proseguire,
fermo restando l’obbligo del pagamento del canone per l’uso effettuato
e il potere dell’autorità concedente di sospendere in qualsiasi
momento l’utilizzazione qualora in contrasto con i diritti di terzi o con
il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità. 6 bis. I termini previsti
dall’articolo 1, comma 4, del dpr 18 febbraio 1999, n. 238, per la presentazione
delle domande di riconoscimento o di concessione preferenziale di cui all’articolo
4 del rd 11 dicembre 1933, n. 1775, e dall’articolo 2 della legge 17 agosto
1999, n. 290, per le denunce dei pozzi, sono prorogati al 31 dicembre 2000.
In tali casi i canoni demaniali decorrono dal 10 agosto 1999. 7. Il primo comma dell’articolo
21 del rd 11 dicembre 1933, n. 1775, come modificato dal comma 1 dell’articolo
29 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, è sostituito dal seguente: «Tutte le concessioni
di derivazione sono temporanee. La durata delle concessioni, salvo quanto
disposto al secondo comma, non può eccedere i 30 anni ovvero 40
per uso irriguo. Resta ferma la disciplina di cui all’articolo 12 commi
6, 7 e 8 del dlgs 16 marzo 1999, n. 79. 8. Il comma 7 si applica
anche alle concessioni di derivazione già rilasciate. Qualora alla
scadenza di queste ultime, per effetto dello stesso comma 7, risulti anticipata
rispetto a quella originariamente fissata nel provvedimento di concessione,
le relative derivazioni possono continuare a essere esercitate sino alla
data di scadenza originaria, purché venga presentata domanda entro
il 31 dicembre 2000, fatta salva l’applicazione di quanto previsto all’articolo
22, e sempre che alla prosecuzione della derivazione non osti uno specifico
motivo di interesse pubblico. Le piccole derivazioni a uso idroelettrico
di pertinenza dell’Enel, per le quali risulti decorso il termine di 30
anni fissato dal comma 7, sono prorogate per ulteriori 30 anni a far data
dall’entrata in vigore del dlgs 16 marzo 1999, n. 79, previa presentazione
della relativa domanda entro il 31 dicembre 2000. Le regioni, anche su
richiesta o parere dell’ente gestore qualora la concessione ricada in area
protetta, ove si verifichino la mancanza di presupposti di cui al comma
1 procedono, senza indennizzo, alla modifica delle condizioni fissate dal
relativo disciplinare ai fini di rendere compatibile il prelievo, ovvero
alla revoca. 9. Dopo il terzo comma dell’articolo
21 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 è inserito il seguente: “Le concessioni di derivazioni
per uso irriguo devono tener conto delle tipologie delle colture in funzione
della disponibilità della risorsa idrica, della quantità
minima necessaria alla coltura stessa, prevedendo se necessario specifiche
modalità di irrigazione; le stesse sono assentite o rinnovate solo
qualora non risulti possibile soddisfare la domanda d’acqua attraverso
le strutture consortili già operanti sul territorio.”. 9 bis. Fatta salva l’efficacia
delle norme più restrittive tutto il territorio nazionale è
assoggettato a tutela ai sensi dell’articolo 94 del rd 11 dicembre 1933,
n. 1775. 9 ter. Le regioni disciplinano
i procedimenti di rilascio delle concessioni di derivazione di acque pubbliche
nel rispetto delle direttive sulla gestione del demanio idrico emanate,
entro il 30 settembre 2000, ai sensi dell’articolo 88, comma 1, lettera
p) del dlgs 31 marzo 1998, n. 112 su proposta del ministro dei lavori pubblici,
nelle quali sono indicate anche le possibilità di libero utilizzo
di acque superficiali scolanti su suoli o in fossi di canali di proprietà
privata. Le regioni, sentite le autorità di bacino, disciplinano
forme di regolazione dei prelievi delle acque sotterranee per usi domestici,
come definiti dall’articolo 93 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775,
laddove sia necessario garantire l’equilibrio del bilancio idrico di cui
all’articolo 3 della legge 5 gennaio 1994, n. 36. 9 quater. Il comma 2 dell’articolo
25 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, come modificato dall’articolo 28,
comma 2, della legge 30 aprile 1999, n. 136, è sostituito dal seguente: «Il riconoscimento
e la concessione preferenziale delle acque superficiali o sorgentizie che
hanno assunto natura pubblica per effetto dell’articolo 1, nonché
le concessioni in sanatoria, sono rilasciati su parere dell’ente gestore
dell’area naturale protetta. Gli enti gestori di aree protette verificano
le captazioni e le derivazioni già assentite all’interno delle aree
protette e richiedono all’autorità competente la modifica delle
quantità di rilascio qualora riconoscano alterazioni degli equilibri
biologici dei corsi d’acqua oggetto di captazione, senza che ciò
possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica
amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale
di concessione.». 9 quinquies. Il comma 3 dell’articolo
25 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, è abrogato. Articolo 24 (Acque minerali
naturali e di sorgenti) 1. Le concessioni di utilizzazione
delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente sono rilasciate
tenuto conto delle esigenze di approvvigionamento e distribuzione delle
acque potabili e delle previsioni del piano di tutela. Articolo 25 (Risparmio idrico) 1. Coloro che gestiscono
o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all’eliminazione
degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo
ed il riutilizzo, anche mediante l’utilizzazione delle migliori tecniche
disponibili. 2. Il comma 1 dell’articolo
5 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, è sostituito dal seguente: “1. Le regioni prevedono
norme e misure volte a favorire la riduzione dei consumi e l’eliminazione
degli sprechi ed in particolare a: a) migliorare la manutenzione
delle reti di adduzione e di distribuzione di acque a qualsiasi uso destinate
al fine di ridurre le perdite; b) realizzare, in particolare
nei nuovi insediamenti abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti
dimensioni, reti duali di adduzione al fine dell’utilizzo di acque meno
pregiate per usi compatibili; c) promuovere l’informazione
e la diffusione dimetodi e tecniche
di risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario ed agricolo; d) installare contatori per
il consumo dell’acqua in ogni singola unità abitativa nonché
contatori differenziati per le attività produttive e del settore
terziario esercitate nel contesto urbano; e) realizzare nei nuovi insediamenti
sistemi di collettamento differenziati per le acque piovane e per le acque
reflue.”. 3. All’articolo 5 della legge
5 gennaio 1994, n. 36 dopo il comma 1, è inserito il seguente: “1-bis. Gli strumenti urbanistici,
compatibilmente con l’assetto urbanistico e territoriale e con le risorse
finanziarie disponibili, prevedono reti duali al fine dell’utilizzo di
acque meno pregiate, nonché tecniche di risparmio della risorsa.
Il comune rilascia la concessione edilizia se il progetto prevede l’installazione
di contatori per ogni singola unità abitativa, nonché il
collegamento a reti duali, ove già disponibili.”. 4. All’articolo 13, comma
3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, sono aggiunte, in fine, le seguenti
parole: “ed in funzione del contenimento del consumo.”. 5. Le regioni, sentita le
autorità di bacino, approvano specifiche norme sul risparmio idrico
in agricoltura, basato sulla pianificazione degli usi, sulla corretta individuazione
dei fabbisogni nel settore, e sui controlli degli effettivi emungimenti. Articolo 26 (Riutilizzo dell’acqua) 1. All’articolo 14 della
legge 5 gennaio 1994, n.36, dopo il comma 4, è, in fine, aggiunto
il seguente: “4-bis. Allo scopo di incentivare
il riutilizzo di acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo,
la tariffa per le utenze industriali è ridotta in funzione dell’utilizzo
nel processo produttivo di acqua reflua o già usata. La riduzione
si determina applicando alla tariffa un correttivo che tiene conto della
quantità di acqua riutilizzata e della quantità delle acque
primarie impiegate.”. 2. L’articolo 6 della legge
5 gennaio 1994, n.36, è sostituito dal seguente: “Articolo 6. (Modalità
per il riutilizzo delle acque reflue) 1. Con decreto del Ministro
dell’ambiente, di concerto con il Ministro per le politiche agricole, della
sanità, dell’industria, del commercio e dell’artigianato, dei lavori
pubblici e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano sono definite
norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue. 2. Le regioni adottano norme
e misure volte a favorire il riciclo dell’acqua e il riutilizzo delle acque
reflue depurate mediante le quali sono in particolare: a) indicate le migliori tecniche
disponibili per la progettazione e l’esecuzione delle infrastrutture nel
rispetto delle norme tecniche emanate ai sensi del comma 1; b) indicate le modalità
del coordinamento interregionale anche al fine di servire vasti bacini
di utenza ove vi siano grandi impianti di depurazione di acque reflue; c) previsti incentivi e agevolazioni
alle imprese che adottano impianti di riciclo o riutilizzo.”. 3. Il decreto di cui all’articolo
6, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, come sostituito dal comma
2, è emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del
presente decreto. 4. Con decreto del Ministro
dei lavori pubblici, di concerto con i Ministri dell’ambiente e dell’industria,
del commercio e dell’artigianato e d’intesa la Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e
di Bolzano sono definite le modalità per l’applicazione della riduzione
di canone prevista dall’articolo 18, comma 1, lettere a) e d), della legge
5 gennaio 1994, n. 36. Capo III: Tutela qualitativa
della risorsa: disciplina degli scarichi Articolo 27 (Reti fognarie) 1. Gli agglomerati devono
essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane: a) entro il 31 dicembre 2000
per quelli con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15.000; b) entro il 31 dicembre 2005
per quelli con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 15.000. 2. Per le acque reflue urbane
che si immettono in acque recipienti considerate “aree sensibili” gli agglomerati
con oltre 10.000 abitanti equivalenti devono essere provvisti di rete fognaria. 3. La progettazione, la costruzione
e la manutenzione delle reti fognarie si effettuano adottando le tecniche
migliori che non comportino costi eccessivi, tenendo conto in particolare: a) del volume e delle caratteristiche
delle acque reflue urbane; b) della prevenzione di eventuali
fuoriuscite; c) della limitazione dell’inquinamento
delle acque recipienti, dovuto a tracimazioni causate da piogge violente. 4. Per gli insediamenti,
installazioni o edifici isolati che scaricano acque reflue domestiche le
regioni identificano sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati
adeguati secondo i criteri di cui alla delibera indicata al comma 7 dell’articolo
62, che raggiungono lo stesso livello di protezione ambientale, indicando
i tempi di adeguamento. Articolo 28 (Criteri generali
della disciplina degli scarichi) 1. Tutti gli scarichi sono
disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità
dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limite di emissione
previsti dall’allegato 5. 2. Ai fini di cui al comma
1, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi
massimi ammissibili, delle migliori tecniche disponibili, definiscono i
valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all’allegato 5, sia
in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per
unità di tempo in ordine a ogni sostanza inquinante e per gruppi
o famiglie di sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori
limiti meno restrittivi di quelli fissati nell’allegato 5: a) nella tabella 1 relativamente
allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali; b) nella tabella 2 relativamente
allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali ricadenti
in aree sensibili; c) nella tabella 3/A per
i cicli produttivi ivi indicati; d) nelle tabelle 3 e 4, per
quelle sostanze indicate nella tabella 5 del medesimo allegato. 3. Gli scarichi devono essere
resi accessibili per il campionamento da parte dell’autorità competente
per il controllo nel punto assunto per la misurazione. La misurazione degli
scarichi, salvo quanto previsto al comma 3 dell’articolo 34, si intende
effettuata subito a monte, dal punto di immissione in tutte le acque superficiali
e sotterranee, interne e marine, nonché in fognature, sul suolo
e nel sottosuolo. 4. L’autorità competente
per il controllo è autorizzata a effettuare tutte le ispezioni che
ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo
alla formazione degli scarichi. Essa può richiedere che scarichi
parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell’allegato 5, subiscano un
trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale. 5. I valori limite di emissione
non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque
prelevate esclusivamente allo scopo. Non è comunque consentito diluire
con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo
scopo gli scarichi parziali di cui al comma 4, prima del trattamento degli
scarichi parziali stessi per adeguarli ai limiti previsti dal presente
decreto. L’autorità competente, in sede di autorizzazione, può
prescrivere che lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio,
ovvero impiegate per la produzione di energia, sia separato dallo scarico
terminale di ciascun stabilimento. 6. Qualora le acque prelevate
da un corpo idrico superficiale presentino parametri con valori superiori
ai valori-limite di emissione, la disciplina dello scarico è fissata
in base alla natura delle alterazioni e agli obiettivi di qualità
del corpo idrico ricettore, fermo restando che le acque devono essere restituite
con caratteristiche qualitative non peggiori di quelle prelevate e senza
maggiorazioni di portata allo stesso corpo idrico dal quale sono state
prelevate. 7. Salvo quanto previsto
dall’articolo 38, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni,
sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue: a) provenienti da imprese
dedite esclusivamente alla coltivazione del fondo o alla silvicoltura; b) provenienti da imprese
dedite ad allevamento di bestiame che dispongono di almeno un ettaro di
terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento
e di coltivazione del fondo per ogni 340 chilogrammi di azoto presente
negli effluenti di allevamento prodotti per un anno da computare secondo
le modalità di calcolo stabilite alla tabella 6 dell’allegato 5.
Per gli allevamenti esistenti il nuovo criterio di assimilabilità
si applica a partire dal 13 giugno 2002; c) provenienti da imprese
dedite alle attività di cui ai punti a) e b) che esercitano anche
attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione
agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà
funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata
proveniente per almeno due terzi esclusivamente dall’attività di
coltivazione dei fondi di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità; d) provenienti da impianti
di acquacoltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e si caratterizzino
per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 kg per metro
quadrato di specchio d’acqua o in cui venga utilizzata una portata d’acqua
pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo; e) aventi caratteristiche
qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa
regionale. 8) Entro sei mesi dalla data
di entrata in vigore del presente decreto, e successivamente ogni due anni,
le regioni trasmettono all’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente
le informazioni relative alla funzionalità dei depuratori, nonché
allo smaltimento dei relativi fanghi, secondo le modalità indicate
nel decreto di cui all’articolo 3, comma 7. 9. Al fine di assicurare
la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato dell’ambiente
le regioni pubblicano ogni due anni una relazione sulle attività
di smaltimento delle acque reflue urbane nelle aree di loro competenza,
secondo le modalità indicate nel decreto di cui all’articolo 3,
comma 7. 10) Le autorità competenti
possono promuovere e stipulare accordi e contratti di programma con i soggetti
economici interessati, al fine di favorire il risparmio idrico, il riutilizzo
delle acque di scarico e il recupero come materia prima dei fanghi di depurazione,
con la possibilità di ricorrere a strumenti economici, di stabilire
agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi e di fissare, per
le sostanze ritenute utili, limiti agli scarichi in deroga alla disciplina
generale, nel rispetto comunque delle norme comunitarie e delle misure
necessarie al conseguimento degli obiettivi di qualità. Articolo 29 (Scarichi sul
suolo) 1. E’ vietato lo scarico
sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo fatta eccezione: a) per i casi previsti dall’articolo
27, comma 4; b) per gli scaricatori di
piena a servizio delle reti fognarie; c) per gli scarichi di acque
reflue urbane e industriali per i quali sia accertatal’impossibilità
tecnica o l’eccessiva onerosità a fronte dei benefici ambientali
conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purché
gli stessi siano conformi ai criteri ed ai valori-limite di emissione fissati
a tal fine dalle regioni ai sensi dell’articolo 28, comma 2. Sino all’emanazione
di nuove norme regionali si applicano i valori limite di emissione della
tabella 4 dell’allegato 5; d) per gli scarichi di acque
provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti
di lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano
costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento
delle falde acquifere o instabilità dei suoli. e) Per gli scarichi di acque
meteoriche convogliate in reti fognarie separate. 2. Al di fuori delle ipotesi
previste al comma 1, gli scarichi sul suolo esistenti alla data di entrata
in vigore del presente decreto, devono, entro tre anni dalla data di entrata
in vigore del presente decreto, essere convogliati in corpi idrici superficiali,
in reti fognarie ovvero destinati al riutilizzo in conformità alle
prescrizioni fissate con il decreto di cui all’articolo 6, comma 1, della
legge 5 gennaio 1994, n. 36, così come sostituito dell’articolo
26, comma 2. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l’autorizzazione
allo scarico si considera a tutti gli effetti revocata. 3.
Gli scarichi di cui alla lettera c) del comma 1, esistenti alla data di
entrata in vigore del presente decreto, devono conformarsi ai limiti della
tabella 4 dell’allegato 5 entro tre anni dalla data di entrata in vigore
del presente decreto. Sino a tale data devono essere rispettati i limiti
fissati dalle normative regionali vigenti o, in mancanza di questi, i limiti
della tabella 3 dell’allegato 5. Resta comunque fermo il divieto di scarico
sul suolo delle sostanze indicate al punto 2.1 dell’allegato 5. Articolo 30 (Scarichi nel
sottosuolo e nelle acque sotterranee) 1. E’ vietato lo scarico
diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo. 2. In deroga a quanto previsto
al comma 1 l’autorità competente, dopo indagine preventiva, può
autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per
scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle
acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile, ivi
comprese quelle degli impianti di scambio termico. 3. In deroga a quanto previsto
dal comma 1 il Ministero dell’ambiente per i giacimenti a mare e le regioni
per i giacimenti a terra possono altresì autorizzare lo scarico
di acque risultanti dall’estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche
profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti ovvero in unità
dotate delle stesse caratteristiche, che contengano o abbiano contenuto
idrocarburi, indicando le modalità dello scarico. Lo scarico non
deve contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse,
per qualità e quantità, da quelle derivanti dalla separazione
degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con la prescrizione
delle precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico
non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri ecosistemi. 4. Per le perforazioni in
mare con le quali è svolta attività di prospezione, ricerca
e coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi o gassosi, lo scarico
delle acque diretto in mare avviene secondo le modalità previste
dal decreto 28 luglio 1994 del ministro dell’ambiente, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 190 del 16 agosto 1994, e successive modifiche, purché
la concentrazione di oli minerali sia inferiore a 40 mg/l. Lo scarico diretto
a mare è progressivamente sostituito dalla iniezione o reiniezione
in unità geologiche profonde, non appena disponibili pozzi non più
produttivi, e deve avvenire comunque nel rispetto di quanto previsto ai
commi 2 e 3. 5. Lo scarico diretto in
mare delle acque di cui al comma 4, è autorizzato previa presentazione
di un piano di monitoraggio volto a verificare l’assenza di pericoli per
le acque e per gli ecosistemi acquatici. 6. Al di fuori delle ipotesi
previste dai commi 2, 3, 4 e 5, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque
sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati alla data di entrata in
vigore del presente decreto, devono essere convogliati in corpi idrici
superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo
o all’utilizzazione agronomica entro tre anni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi
indicati, l’autorizzazione allo scarico è a tutti gli effetti revocata. Articolo 31 (Scarichi in
acque superficiali) 1. Gli scarichi di acque
reflue industriali in acque superficiali devono rispettare i valori-limite
di emissione fissati ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2, in funzione
del perseguimento degli obiettivi di qualità. 2. Gli scarichi di acque
reflue urbane che confluiscono nelle reti fognarie, provenienti da agglomerati
con meno di 2.000 abitanti equivalenti e recapitanti in acque dolci ed
in acque di transizione e gli scarichi provenienti da agglomerati con meno
di 10.000 abitanti equivalenti, recapitanti in acque marino-costiere, sono
sottoposti ad un trattamento appropriato, in conformità con le indicazioni
dell’allegato 5, entro il 31 dicembre 2005. 3. Le acque reflue urbane
devono essere sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario
o ad un trattamento equivalente in conformità con le indicazioni
dell’allegato 5 e secondo le seguenti cadenze temporali: a) entro il 31 dicembre 2000
per gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 15.000 abitanti equivalenti; b) entro il 31 dicembre 2005
per gli scarichiprovenienti da agglomerati
con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 10.000 e 15.000; c) entro il 31 dicembre 2005
per gli scarichi in acque dolci ed in acque di transizione, provenienti
da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000
e 10.000. 4. Gli scarichi previsti
al comma 3 devono rispettare, altresì, i valori-limite di emissione
fissati ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2. 5. Le regioni dettano specifica
disciplina per gli scarichi di reti fognarie provenienti da agglomerati
a forte fluttuazione stagionale degli abitanti, tenuto conto di quanto
disposto ai commi 2 e 3 e fermo restando il conseguimento degli obiettivi
di qualità. 6. Gli scarichi di acque
reflue urbane in acque situate in zone d’alta montagna, al di sopra dei
1.500 metri sul livello del mare, dove a causa delle basse temperature
è difficile effettuare un trattamento biologico efficace, possono
essere sottoposti ad un trattamento meno spinto di quello previsto al comma
3, purché studi dettagliati comprovino che essi non avranno ripercussioni
negative sull’ambiente. Articolo 32 (Scarichi di
acque reflue urbane in corpi idrici ricadenti in aree sensibili) 1. Ferme restando le disposizioni
dell’articolo 28, commi 1 e 2, le acque reflue urbane provenienti da agglomerati
con oltre 10.000 abitanti equivalenti, che scaricano in acque recipienti
individuate quali aree sensibili, devono essere sottoposte ad un trattamento
più spinto di quello previsto dall’articolo 31, comma 3, secondo
i requisiti specifici indicati nell’allegato 5. 2. Le disposizioni di cui
al comma 1 non si applicano nelle aree sensibili in cui può essere
dimostrato che la percentuale minima di riduzione del carico complessivo
in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane
è pari almeno al 75% per il fosforo totale ovvero per almeno il
75% per l’azoto totale. 3. Le regioni individuano
tra gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque
reflue urbane situati all’interno dei bacini drenanti afferenti alle aree
sensibili, quelli che, contribuendo all’inquinamento di tali aree, sono
da assoggettare al trattamento di cui ai commi 1 e 2 in funzione del raggiungimento
dell’obiettivo di qualità dei corpi idrici ricettori. Articolo 33 (Scarichi in
reti fognarie) 1. Ferma restando l’inderogabilità
dei valori-limite di emissione di cui alla tabella 3/A e, limitatamente
ai parametri di cui alla nota 2 della tabella 5 dell’allegato 5, alla tabella
3 gli scarichi di acque reflue industriali che recapitano in reti fognarie
sono sottoposti alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari e
ai valori-limite adottati dal gestore del servizio idrico integrato e approvati
dall’amministrazione pubblica responsabile in base alle caratteristiche
dell’impianto e in modo che sia assicurato il rispetto della disciplina
degli scarichi di acque reflue urbane definita ai sensi dell’articolo 28,
commi 1 e 2. 2. Gli scarichi di acque
reflue domestiche che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purché
osservino i regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato. 3. Non è ammesso lo
smaltimento dei rifiuti anche se triturati, in fognatura. Articolo 34 (Scarichi di
sostanze pericolose) 1. Le disposizioni relative
agli scarichi di sostanze pericolose si applicano agli stabilimenti nei
quali si svolgono attività che comportano la produzione, la trasformazione
o l’utilizzazione delle sostanze di cui alle tabelle 3/A e 5 dell’allegato
5 e nei cui scarichi se accertata la presenza di tali sostanze in quantità
o concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilità delle metodiche
di rilevamento in essere all’entrata in vigore del presente decreto o degli
aggiornamenti messi a punto ai sensi del punto 4 dell’allegato 5. 2. Tenendo conto della tossicità,
della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell’ambiente
in cui è effettuato lo scarico, l’autorità competente in
sede di rilascio dell’autorizzazione può fissare, in particolari
situazioni di accertato pericolo per l’ambiente anche per la coopresenza
di altri scarichi di sostanze pericolose, valori-limite di emissione più
restrittivi di quelli fissati ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2. 3. Per le sostanze di cui
alla tabella 3/A dell’allegato 5, derivanti dai cicli produttivi indicati
nella medesima tabella, le autorizzazioni stabiliscono altresì la
quantità massima della sostanza espressa in unità di peso
per unità di elemento caratteristico dell’attività inquinante
e cioè per materia prima o per unità di prodotto, in conformità
con quanto indicato nella stessa tabella. 4. Per le acque reflue industriali
contenenti le sostanze della tabella 5 dell’allegato 5, il punto di misurazione
dello scarico si intende fissato subito dopo l’uscita dallo stabilimento
o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. L’autorità
competente può richiedere che gli scarichi parziali contenenti le
sostanze della tabella 5 dell’allegato 5 siano tenuti separati dallo scarico
generale e disciplinati come rifiuti, ai sensi del dlgs 5 febbraio 1997,
n. 22, e successive modifiche e integrazioni. Qualora, nel caso di cui
all’articolo 45, comma 2, secondo periodo, l’impianto di trattamento di
acque reflue industriali che tratta le sostanze pericolose di cui alla
tabella 5 dell’allegato 5, riceva scarichi provenienti da altri stabilimenti
o scarichi di acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili
a una modifica o riduzione delle sostanze pericolose, in sede di autorizzazione
l’autorità competente dovrà ridurre opportunamente i valori
limite di emissione indicati nella tabella 3 dell’allegato 5 per ciascuna
delle predette sostanze pericolose indicate in tabella 5, tenendo conto
della diluizione operata dalla miscelazione dei diversi scarichi. 5. L’autorità che rilascia l’autorizzazione per le sostanze di cui alla tabella 3/A dell’allegato 5 derivanti dai cicli produttivi indicati nella stessa tabella, redige un elenco delle autorizzazioni rilasciate, degli scarichi e dei controlli effettuati, ai fini del successivo inoltro alla Commissione europea. Capo IV: Ulteriori misure
per la tutela dei corpi idrici Articolo 35 (Immersione in
mare di materiale derivante da attività di escavo e attività
di posa in mare di cavi e condotte) 1. Al fine della tutela dell’ambiente
marino ed in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali
vigenti in materia, è consentita l’immersione deliberata in mare
da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o
in ambiti ad esso contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e
terrapieni costieri, dei seguenti materiali: a) materiali di escavo di
fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi; b) inerti, materiali geologici
inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata
la compatibilità ambientale e l’innocuità; c) materiale organico e inorganico
di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca
effettuata in mare o laguna o stagni salmastri. 2. L’autorizzazione all’immersione
in mare di materiali di cui al comma 1, lettera a), è rilasciato
dall’autorità competente solo quando è dimostrata, nell’ambito
dell’istruttoria, l’impossibilità tecnica o economica del loro utilizzo
ai fini di ripascimento o di recupero ovvero lo smaltimento alternativo
in conformità alle modalità stabilite con decreto del ministro
dell’ambiente, di concerto con i ministri dei lavori pubblici, dei trasporti
e della navigazione, per le politiche agricole e forestali nonché
dell’industria, del commercio e dell’artigianato, previa intesa con la
conferenza permanente per i rapporti tra lo stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro 60 giorni dalla data
di entrata in vigore del presente decreto. 3. L’immersione in mare di
materiale di cui al comma 1, lettera b), è soggetta ad autorizzazione
con esclusione dei nuovi manufatti soggetti alla valutazione di impatto
ambientale. Per le opere di ripristino, che non comportino aumento della
cubatura delle opere preesistenti, è dovuta la sola comunicazione
all’autorità competente. 4. L’immersione in mare dei
materiali di cui al comma 1, lettera c), non è soggetta ad autorizzazione. 5. La movimentazione dei
fondali marini derivante dall’attività di posa in mare di cavi e
condotte è soggetta ad autorizzazione regionale rilasciata, in conformità
alle modalità tecniche stabilite con decreto del ministro dell’ambiente,
di concerto con i ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato
e dei lavori pubblici per quanto di competenza, da emanarsi entro 60 giorni
dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Qualora la movimentazione
abbia carattere internazionale, l’autorizzazione è rilasciata dal
ministero dell’ambiente sentite le regioni interessate Articolo 36 (Trattamento
di rifiuti presso impianti di trattamento delle acque reflue urbane) 1. Salvo quanto previsto
ai commi 2 e 3 è vietato l’utilizzo degli impianti di trattamento
di acque reflue urbane per lo smaltimento di rifiuti. 2. In deroga al comma 1,
l’autorità competente ai sensi del dlgs del 5 febbraio 1997, n.
22, in relazione a particolari esigenze e nei limiti della capacità
residua di trattamento può autorizzare il gestore del servizio idrico
integrato a smaltire nell’impianto di trattamento di acque reflue urbane
rifiuti liquidi limitatamente alle tipologie compatibili con il processo
di depurazione. 3. Il gestore del servizio
idrico integrato, previa comunicazione all’autorità competente ai
sensi dell’articolo 45 è, comunque, autorizzato ad accettare in
impianti con caratteristiche e capacità depurative adeguate che
rispettino i valori limite di cui all’articolo 28, commi 1 e 2 e purché
provenienti dal medesimo ambito ottimale di cui alla legge 5 gennaio 1994,
n. 36: a) rifiuti costituiti da
acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in
fognatura; b) rifiuti costituiti dal
materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento
di acque reflue domestiche previsti ai sensi del comma 4 dell’articolo
27; c) materiali derivanti dalla
manutenzione ordinaria della rete fognaria nonché quelli derivanti
da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore
trattamento dei medesimi risulti tecnicamente o economicamente irrealizzabile. 4. L’attività di cui
ai commi 2 e 3 può essere consentita purché non sia compromesso
il riutilizzo delle acque reflue e dei fanghi. 5. Nella comunicazione prevista
al comma 3 il gestore del servizio idrico integrato deve indicare la capacità
residua dell’impianto e le caratteristiche e quantità dei rifiuti
che intende trattare. L’autorità competente può indicare
quantità diverse o vietare il trattamento di specifiche categorie
di rifiuti. L’autorità competente provvede altresì all’iscrizione
in appositi elenchi dei gestori di impianti di trattamento che hanno effettuato
la comunicazione di cui al comma 3. 6. Allo smaltimento dei rifiuti
di cui al comma 3, si applica la tariffa prevista per il servizio di depurazione
di cui all’articolo 14 della legge 5 gennaio 1994, n. 36. 7. Il produttore dei rifiuti di cui al comma 2 e 3 e il trasportatore dei rifiuti sono tenuti al rispetto della normativa in materia di rifiuti prevista dal dlgs del 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche e integrazioni, fatta eccezione per il produttore dei rifiuti di cui al comma 3 lettera b) che è tenuto al rispetto dei soli obblighi di cui all’articolo 10 del medesimo decreto. Il gestore del servizio idrico integrato che, ai sensi dei precedenti commi 3 e 5, tratta rifiuti è soggetto ai soli obblighi di cui all’articolo 12 del dlgs del 5 febbraio 1997, n. 22. Articolo 37 (Impianti di
acquacoltura e piscicoltura) 1. Con decreto del Ministro
dell’ambiente, di concerto con i Ministri per le politiche agricole, dei
lavori pubblici, dell’industria, del commercio e dell’artigianato, della
sanità e, previa intesa con Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano,
sono individuati i criteri relativi al contenimento dell’impatto sull’ambiente
derivante dalle attività di acquacoltura e di piscicoltura. Articolo 38 (Utilizzazione
agronomica) 1. Fermo restando quanto
previsto dall’articolo 19 per le zone vulnerabili e dal dlgs 4 agosto 1999,
n. 372, per gli impianti di allevamento intensivo di cui al punto 6.6 dell’allegato
1 al predetto decreto, l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento,
delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, sulla base di quanto previsto
dalla legge 11 novembre 1996, n. 574, nonché dalle acque reflue
provenienti dalle aziende di cui all’articolo 28, comma 7, lettere a),
b) e c) e da altre piccole aziende agroalimentari a esse assimilate, così
come individuate in base al decreto del ministro delle politiche agricole
e forestali di cui al comma 2, è soggetta a comunicazione all’autorità
competente di cui all’articolo 3, commi 1 e 2 del presente decreto, fatti
salvi i casi di esonero di cui al comma 3, lettera b). 2. Le regioni disciplinano
le attività di utilizzazione agronomica di cui al comma 1 sulla
base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con decreto del
ministro delle politiche agricole e forestali di concerto con i ministri
dell’ambiente, dell’industria, del commercio e dell’artigianato, della
sanità e dei lavori pubblici, di intesa con la conferenza permanente
per i rapporti tra lo stato, le regioni e le province autonome di Trento
e di Bolzano, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del predetto
dm, garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente interessati
e in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di
qualità di cui al presente decreto. 3. Nell’ambito della normativa
di cui al comma 2, sono disciplinati in particolare: a) le modalità di
attuazione degli articoli 3, 5, 6 e 9 della legge 11 novembre 1996, n.
574; b) i tempi e le modalità
di effettuazione della comunicazione, prevedendo procedure semplificate,
nonché specifici casi di esonero dall’obbligo di comunicazione per
le attività di minor impatto ambientale; c) le norme tecniche di effettuazione
delle operazioni di utilizzo agronomico; d) i criteri e le procedure
di controllo, ivi compresi quelle inerenti l’imposizione di prescrizioni
da parte dell’autorità competente, il divieto di esercizio ovvero
la sospensione a tempo determinato dell’attività di cui al comma
1 nel caso di mancata comunicazione o mancato rispetto delle norme tecniche
e delle prescrizioni impartite; e) le sanzioni amministrative pecuniarie, fermo restando quanto disposto dall’articolo 59, comma 11-ter. Articolo 39 (Acque meteoriche
di dilavamento e acque di prima pioggia) 1. Ai fini della prevenzione
di rischi idraulici e ambientali, le regioni disciplinano: a) le forme di controllo
degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie
separate; b) i casi in cui può
essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento,
effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari
prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione. 2. Le acque meteoriche non
disciplinate ai sensi del comma precedente non sono soggette a vincoli
o prescrizioni derivanti dal presente decreto. 3. Le regioni disciplinano
altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di
prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente
trattate in impianti di depurazione per particolare ipotesi nelle quali,
in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento
dalle superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze
che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità
dei corpi idrici. 4. È comunque vietato lo scarico o l’immissione diretta di acque meteoriche nelle acque sotterranee. Articolo 40 (Dighe) 1. Le regioni adottano apposita
disciplina in materia di restituzione delle acque utilizzate per la produzione
idroelettrica, per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonché
delle acque derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi
alla ricerca ed estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento
o il raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui al Titolo
II. 2. Al fine di assicurare
il mantenimento della capacità di invaso e la salvaguardia sia della
qualità dell’acqua invasata, sia del corpo recettore, le operazioni
di svaso, sghiaiamento e sfangamento delle dighe sono effettuate sulla
base di un progetto di gestione di ciascun impianto. Il progetto di gestione
è finalizzato a definire sia il quadro previsionale di dette operazioni
connesse con le attività di manutenzione da eseguire sull’impianto
sia le misure di prevenzione e tutela del corpo recettore, dell’ecosistema
acquatico, delle attività di pesca e delle risorse idriche invasate
e rilasciate a valle dello sbarramento durante le operazioni stesse. 3. Il progetto di gestione
individua altresì eventuali modalità di manovra degli organi
di scarico, anche al fine di assicurare la tutela del corpo recettore.
Restano valide in ogni caso le disposizioni fissate tal decreto del Presidente
della Repubblica 1° novembre 1959, n. 1363, volte a garantire la sicurezza
di persone e cose. 4. Il progetto di gestione
di cui al comma 2, è predisposto dal gestore sulla base dei criteri
fissati con decreto del Ministro dei lavori pubblici e del Ministro dell’ambiente
di concerto con i Ministri dell’industria del commercio e dell’artigianato,
per le politiche agricole e il Ministro delegato della Protezione Civile,
previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro
90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 5. Il progetto di gestione
è approvato dalle regioni, con eventuali prescrizioni, entro sei
mesi dalla sua presentazione, sentiti, ove necessario, gli enti gestori
delle aree protette direttamente interessate; è trasmesso al Registro
italiano dighe per l’inserimento come parte integrante del foglio condizioni
per l’esercizio e la manutenzione di cui all’articolo 6 del decreto del
Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n.1363, e relative disposizioni
di attuazione. Il progetto di gestione si intende approvato e diviene operativo
trascorsi sei mesi dalla data di presentazione senza che sia intervenuta
alcuna pronuncia da parte della regione competente, fermo restando il potere
di tali enti di dettare eventuali prescrizioni, anche trascorso tale termine. 6. Con l’approvazione del
progetto il gestore è autorizzato ad eseguire le operazioni di svaso,
sghiaiamento e sfangamento in conformità ai limiti indicati nel
progetto stesso e alle relative prescrizioni. 7. Nella definizione dei
canoni di concessione di inerti ai sensi dell’articolo 89, comma 1, lettera
d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, le amministrazioni determinano
specifiche modalità ed importi per favorire lo sghiaiamento e sfangamento
degli invasi per asporto meccanico. 8. I gestori degli invasi
esistenti sono tenuti a presentare il progetto di cui al comma 2 entro
sei mesi dall’emanazione del decreto di cui al comma 4. Fino all’approvazione
o alla operatività del progetto di gestione, e comunque non oltre
dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma
4, le operazioni periodiche di manovre prescritte ai sensi dell’articolo
17 del decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n.
1363, volte a controllare la funzionalità degli organi di scarico,
sono svolte in conformità ai fogli di condizione per l’esercizio
e la manutenzione. 9. Le operazioni di svaso,
sghiaiamento e sfangamento degli invasi non devono pregiudicare gli usi
in atto a valle dell’invaso, né il rispetto degli obiettivi di qualità
ambientale e degli obiettivi di qualità per specifica destinazione. Articolo 41 (Tutela delle
aree di pertinenza dei corpi idrici) 1. Ferme restando le disposizioni
di cui al Capo VII del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, al fine di
assicurare il mantenimento o il ripristino della vegetazione spontanea
nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici, con funzioni di filtro
per i solidi sospesi e gli inquinanti di origine diffusa, di stabilizzazione
delle sponde e di conservazione della biodiversità da contemperarsi
con le esigenze di funzionalità dell’alveo, entro un anno dalla
data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni disciplinano
gli interventi di trasformazione e di gestione del suolo e del soprassuolo
previsti nella fascia di almeno 10 metri dalla sponda di fiumi, laghi,
stagni e lagune comunque vietando la copertura dei corsi d’acqua, che non
sia imposta da ragioni di tutela della pubblica incolumità e la
realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti. 2. Gli interventi di cui
al comma 1 sono comunque soggetti all’autorizzazione prevista dal regio
decreto 25 luglio 1904, n. 523, salvo quanto previsto per gli interventi
a salvaguardia della pubblica incolumità. 3. Per garantire le finalità
di cui al comma 1, le aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi
e delle altre acque possono essere date in concessione allo scopo di destinarle
a riserve naturali, a parchi fluviali o lacuali o comunque a interventi
di ripristino e recupero ambientale. Qualora le aree demaniali siano già
comprese in aree naturali protette statali o regionali inserite nell’elenco
ufficiale di cui all’articolo 3, comma 4, lettera c), della legge 6 dicembre
1991, n. 394, la concessione è gratuita. 4. Le aree del demanio fluviale
di nuova formazione ai sensi della legge 5 gennaio 1994, n. 37, non possono
essere oggetto di sdemanializzazione. TITOLO IV: STRUMENTI DI TUTELA Capo I: (Piani di tutela
delle acque) Articolo 42 (Rilevamento
delle caratteristiche del bacino idrografico ed analisi dell’impatto esercitato
dall’attività antropica) 1. Al fine di garantire l’acquisizione
delle informazioni necessarie alla redazione del piano di tutela, le regioni
provvedono ad elaborare programmi di rilevamento dei dati utili a descrivere
le caratteristiche del bacino idrografico e a valutare l’impatto antropico
esercitato sul medesimo. 2. I programmi di cui al
comma 1 sono adottati in conformità alle indicazioni di cui all’allegato
3 e sono resi operativi entro il 31 dicembre 2000 e sonoaggiornati
ogni sei anni. 3. Nell’espletamento dell’attività
conoscitiva di cui al comma 1, le amministrazioni sono tenute ad utilizzare
i dati e le informazioni già acquisite, con particolare riguardo
a quelle preordinate alla redazione dei piani di risanamento delle acque
di cui alla legge 10 maggio 1976, n. 319, nonché a quellepreviste
dalla legge 18 maggio 1989, n.183. Articolo 43 (Rilevamento
dello stato di qualità dei corpi idrici) 1. Le regioni elaborano programmi
per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo
delle acque superficiali e sotterranee all’interno di ciascun bacino idrografico. 2. I programmi di cui al
comma 1 sono adottati in conformità alle indicazioni di cui all’allegato
1 e resi operativi entro il 31 dicembre 2000. Tali programmi devono essere
integrati con quelli già esistentiper
gli obiettivi a specifica destinazione stabiliti in conformità all’allegato
2. 3. Al fine di evitare sovrapposizioni
e di garantire il flusso delle informazioni raccolte e la loro compatibilità
con il Sistema informativo nazionale dell’ambiente, nell’esercizio delle
rispettive competenze, le regioni possono promuovere accordi di programma
con le strutture definite ai sensi dell’articolo 92 del decreto legislativo
del 31 marzo 1998 n. 112, con l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente,
le agenzie regionali e provinciali dell’ambiente, le province, le autorità
d’ambito, i consorzi di bonifica e gli altri enti pubblici interessati.
Nei programmi devono essere definite altresì le modalità
di standardizzazione dei dati e di interscambio delle informazioni. Articolo 44 (Piani di tutela
delle acque) 1. Il piano di tutela delle
acque costituisce un piano stralcio di settore del piano di bacino ai sensi
dell’articolo 17, comma 6 ter, della legge 18 maggio 1989, n. 183,
ed è articolato secondo le specifiche indicate nell’allegato 4. 2. Entro il 31 dicembre 2001
le autorità di bacino di rilievo nazionale ed interregionale,sentite
le province e le autoritàd’ambito,
definiscono gli obiettivi su scala di bacino, cui devono attenersi i piani
di tutela delle acque, nonché le priorità degli interventi.
Entro il 31 dicembre 2003, le regioni, sentite le province, previa adozione
delle eventualimisure di salvaguardia,
adottano il piano di tutela delle acquee
lo trasmettono alle competenti autorità di bacino. 3. Il piano di tutela contiene,
oltre agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento
degli obiettivi di cui al presente decreto, le misure necessarie alla tutela
qualitativa e quantitativa del sistema idrico. 4. A tal fine il piano di
tutela contiene in particolare: a) i risultati dell’attività
conoscitiva; b) l’individuazione degli
obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione; c) l’elenco dei corpi idrici
a specifica destinazione e delle aree richiedenti specifiche misure di
prevenzione dall’inquinamento e di risanamento; d) le misure di tutela qualitative
e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico; e) l’indicazione della cadenza
temporale degli interventi e delle relative priorità; f) il programma di verifica
dell’efficacia degli interventi previsti; g) gli interventi di bonifica
dei corpi idrici. 5 Entro 90 giorni dalla trasmissione
del piano di cui al comma 2 le autorità di bacino nazionali o interregionali
verificano la conformità del piano agli obiettivi e alle priorità
del comma 2 esprimendo parere vincolante. Il piano di tutela è approvato
dalle regioni entro i successivi sei mesi e comunque non oltre il 31 dicembre
2004. 6. Per i bacini regionali
le regioni approvano il piano entro sei mesi dall’adozione e comunque non
oltre il 31 dicembre 2004. CAPO II: Autorizzazione agli
scarichi Articolo 45 (Criteri generali) 1. Tutti gli scarichi devono
essere preventivamente autorizzati. 2. L’autorizzazione è
rilasciata al titolare dell’attività da cui origina lo scarico.
Ove tra più stabilimenti sia costituito un consorzio per
l’effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti
dalle attività dei consorziati, l’autorizzazione è rilasciata
in capo al consorzio medesimo, ferme restando le responsabilità
dei singoli consorziati e del gestore del relativo impianto di depurazione
in caso di violazione delle disposizioni del presente decreto. Si applica
l’articolo 62, comma 11, secondo periodo, del presente decreto. 3. Il regime autorizzatorio
degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o
meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, è definito
dalle regioni nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 28, commi
1 e 2. 4. In deroga al comma 1 gli
scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi
nell’osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico
integrato. 5. Le regioni disciplinano
le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione
delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio. 6. Salvo diversa disciplina
regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia
ovvero al comune se lo scarico è in pubblica fognatura. L’autorità
competente provvede entro novanta giorni dalla ricezione della domanda. 7. Salvo quanto previsto
dal dlgs 4 agosto 1999, n. 372, l’autorizzazione è valida per quattro
anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere
chiesto il rinnovo. Lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto
in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente
autorizzazione, fino all’adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda
di rinnovo è stata tempestivamente presentata. Per gli scarichi
contenenti sostanze pericolose di cui all’articolo 34, il rinnovo deve
essere concesso in modo espresso entro e non oltre sei mesi dalla data
di scadenza; trascorso inutilmente tale termine, lo scarico dovrà
cessare immediatamente. La disciplina regionale di cui al comma 3 può
prevedere per specifiche tipologie di scarichi di acque reflue domestiche,
ove soggetti ad autorizzazione, forme di rinnovo tacito della medesima. 8. Per gli scarichi in un
corso d’acqua che ha portata naturale nulla per oltre 120 giorni ovvero
in un corpo idrico non significativo, l’autorizzazione tiene conto del
periodo di portata nulla e della capacità di diluizione del corpo
idrico e stabilisce prescrizioni e limiti al fine di garantire le capacità
autodepurative del corpo recettore e la difesa delle acque sotterranee. 9. In relazione alle caratteristiche
tecniche dello scarico, alla sua localizzazione e alle condizioni locali
dell’ambiente interessato, l’autorizzazione contiene le ulteriori prescrizioni
tecniche volte a garantire che gli scarichi, ivi comprese le operazioni
ad esso funzionalmente connesse, siano effettuati in conformità
alle disposizioni del presente decreto e senza pregiudizio per il corpo
recettore, per la salute pubblica e l’ambiente. 10. Le spese occorrenti per
effettuare i rilievi, gli accertamenti, i controlli e i sopralluoghi necessari
per l’istruttoria delle domande d’autorizzazione previste dal presente
decreto sono a carico del richiedente. L’autorità competente determina,
in via provvisoria, la somma che il richiedente è tenuto a versare,
a titolo di deposito, quale condizione di procedibilità della domanda.
L’autorità stessa, completata l’istruttoria, provvede alla liquidazione
definitiva delle spese sostenute. 11. Per gli insediamenti,
edifici o installazioni la cui attività sia trasferita in altro
luogo ovvero per quelli soggetti a diversa destinazione, ad ampliamento
o a ristrutturazione da cui derivi uno scarico avente caratteristiche qualitativamente
o quantitativamente diverse da quelle dello scarico preesistente deve essere
richiesta una nuova autorizzazione allo scarico, ove prevista. Nelle ipotesi
in cui lo scarico non abbia caratteristiche qualitative o quantitative
diverse, deve essere data comunicazione all’autorità competente,
la quale, verificata la compatibilità dello scarico con il corpo
recettore, può adottare i provvedimenti che si rendessero eventualmente
necessari. Articolo 46 (Domanda di autorizzazione
agli scarichi di acque reflue industriali) 1. La domanda di autorizzazione
agli scarichi di acque reflue industriali deve essere accompagnata dall’indicazione
delle caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico, della quantità
di acqua da prelevare nell’anno solare, del corpo recettore e del punto
previsto per il prelievo al fine del controllo, dalla descrizione del sistema
complessivo di scarico, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente
connesse, dall’eventuale sistema di misurazione del flusso degli scarichi,
ove richiesto, dalla indicazione dei mezzi tecnici impiegati nel processo
produttivo e nei sistemi di scarico, nonchè dall’indicazione dei
sistemi di depurazione utilizzati per conseguire il rispetto dei valori
limite di emissione. 2. Nel caso di scarichi di
sostanze di cui alla tabella 3/A dell’allegato 5 derivanti dai cicli produttivi
indicati nella medesima tabella 3/A, la domanda di cui al comma 1 deve
altresì indicare: a) la capacità di
produzione del singolo stabilimento industriale che comporta la produzione
ovvero la trasformazione ovvero l’utilizzazione delle sostanze di cui alla
medesima tabella ovvero alla presenza di tali sostanze nello scarico. La
capacità di produzione deve essere indicata con riferimento alla
massima capacità oraria moltiplicata per il numero massimo di ore
lavorative giornaliere e per il numero massimo di giorni lavorativi; b) il fabbisogno orario di
acque per ogni specifico processo produttivo. Articolo 47 (Approvazione
degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane) 1. Salve le disposizioni
in materia di valutazione di impatto ambientale, le regioni disciplinano
le modalità di approvazione dei progetti degli impianti di depurazione
di acque reflue urbane che tengono conto dei criteri di cui all’allegato
5 e della corrispondenza tra la capacità dell’impianto e le esigenze
delle aree asservite, nonché delle modalità dellegestioni
che devonoassicurare il rispetto
dei valori limite degli scarichi, e definiscono le relative fasi di autorizzazione
provvisoria necessaria all’avvio dell’impianto ovvero in caso di realizzazione
per lotti funzionali. Articolo 48 (Fanghi derivanti
dal trattamento delle acque reflue) 1. Ferma restando la disciplina
di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, e successive modifiche,
i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla
disciplinadei rifiuti. I
fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta ciò risulti appropriato. 2. E’ comunque vietato lo
smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre. 3. Lo smaltimento dei fanghi
nelle acque marine mediante immersione da nave, scarico attraverso condotte
ovvero altri mezzi è autorizzato ai sensi dell’articolo 18, comma
2, lettera p-bis) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e deve
comunque cessare entro il 2003. Fino a tale data le quantità totali
di materie tossiche, persistenti ovvero bioaccumulabili, devono essere
progressivamente ridotte. In ogni caso le modalità di smaltimento
devono rendere minimo l’impatto negativo sull’ambiente. Capo III: Controllo degli
scarichi Articolo 49 (Soggetti tenuti
al controllo) 1. L’autorità competente
effettua il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri
un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli preventivi
e successivi. 2. Fermo restando quanto
stabilito al comma 1, per gli scarichi in pubblica fognatura l’ente gestore,
ai sensi dell’articolo 26 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, organizza
un adeguato servizio di controllo secondo le modalità previste nella
convenzione di gestione. Articolo 50 (Accessi ed ispezioni) 1. Il soggetto incaricato
del controllo è autorizzato a effettuare le ispezioni, i controlli
e i prelievi necessari all’accertamento del rispetto dei valori limite
di emissione, delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori
o regolamentari e delle condizioni che danno luogo alla formazione degli
scarichi.Il titolare dello scarico
è tenuto a fornire le informazioni richieste e a consentire l’accesso
ai luoghi dai quali origina lo scarico. Articolo 51 (Inosservanza
delle prescrizioni dell’autorizzazione allo scarico) Ferma restando l’applicazione
delle norme sanzionatorie di cui al titolo V, in caso di inosservanza delle
prescrizioni dell’autorizzazione allo scarico, l’autorità competente
procede secondo la gravità dell’infrazione: a) alla diffida, stabilendo
un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità; b) alla diffida e contestuale
sospensione dell’autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestano
situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente; c) alla revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinano situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente. Articolo 52 (Controllo degli
scarichi di sostanze pericolose) 1. Per gli scarichi contenenti
le sostanze di cui alla tabella 5 dell’allegato 5 l’autorità competente
nel rilasciare l’autorizzazione può prescrivere, a carico del titolare,
l’installazione di strumenti di controllo in automatico, nonché
le modalità di gestione degli stessi e di conservazione dei relativi
risultati, che devono rimanere a disposizione dell’autorità competente
al controllo per un periodo non inferiore a tre anni dalla data di effettuazione
dei singoli controlli. Articolo 53 (Interventi sostitutivi) 1. Nel caso in cui non vengano
effettuati i controlli ambientali previsti dal presente decreto, il Ministro
dell’ambiente diffida la regione a provvedere nel termine di sei mesi ovvero
nel termine imposto dalle esigenze di tutela sanitaria e ambientale. In
caso di persistente inadempienza provvede il Ministro dell’ambiente, previa
deliberazione del Consiglio dei ministri, in via sostitutiva, con oneri
a carico dell’Ente inadempiente. 2. Nell’esercizio dei poteri
sostitutivi, il Ministro dell’ambiente nomina un commissario ad acta che
pone in essere gli atti necessari agli adempimentiprevisti
dalla normativa vigente a carico delle regioni al fine dell’organizzazione
del sistema dei controlli. TITOLO V: SANZIONI CAPO I: Sanzioni amministrative
e danno ambientale Articolo 54 (Sanzioni amministrative) 1. Chiunque, salvo che il
fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scarico supera i valori
limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato 5, ovvero
i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’articolo 28,
comma 2, ovvero quelli fissati dall’autorità competente a norma
dell’articolo 33, comma 1 o dell’articolo 34, comma 1, è punito
con la sanzione amministrativa da lire 5 milioni a lire 50 milioni. Se
l’inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle aree
di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui
all’articolo 21 ovvero in corpi idrici posti nelle aree protette di cui
alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, si applica la sanzione amministrativa
non inferiore a lire 30 milioni. 2. Chiunque apre o comunque
effettua scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite
o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l’autorizzazione di cui
all’articolo 45, ovvero continui ad effettuare o mantenere detti scarichi
dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito
con la sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire cento milioni.
Nell’ipotesi di scarichi relativi ad edifici isolati adibiti ad uso abitativo
la sanzione è da uno a cinque milioni. 3. Chiunque, salvo che il
fatto costituisca reato e al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1,
effettua o mantiene uno scarico senza osservare le prescrizioni indicate
nel provvedimento di autorizzazione ovvero fissate ai sensi dell’articolo
33, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria
da lire 2 milioni a lire 25 milioni. 4. Si applica la sanzione
prevista al comma 3 a chi effettuando al momento dell’entrata in vigore
del presente decreto scarichi di acque reflue esistenti, non ottempera
alle disposizioni di cui all’articolo 62, comma 12. (IL SEGUENTE COMMA E'
STATO SOPPRESSO) 5. Chiunque viola le prescrizioni concernenti l’installazione
e la gestione dei controlli in automatico ovvero l’obbligo di conservazione
dei risultati degli stessi, di cui al comma 1 dell’articolo 52, è
punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire
venticinque milioni. 6. Chiunque, salvo che il
fatto costituisca reato, effettua l’immersione in mare dei materiali indicati
all’articolo 35, comma 1, lettere a) e b), ovvero svolge l’attività
di posa in mare cui al comma 5 dello stesso articolo, senza autorizzazione,
è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni
a lire venti milioni. 7. Salvo che il fatto non
costituisca reato, fino all’emanazione della disciplina regionale di cui
all’articolo 38, comma 2, chiunque non osserva le disposizioni di cui all’articolo
62, comma 10 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria
da lire 1 milione a lire 10 milioni. 8. Chiunque, salvo che il
fatto costituisca reato non osserva il divieto di smaltimento dei fanghi
previsto dall’articolo 48, comma 2, è punito con la sanzione amministrativa
pecuniaria da lire diecimilioni
a lire cento milioni. (IL SEGUENTE COMMA E'
STATO SOPPRESSO )9. Il titolare di uno scarico che non consente
l’accesso agli insediamenti da parte del soggettoincaricato
del controllo ai fini di cui all’articolo 28, commi 3 e 4, è punito
con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire sei
milioni. 10. Salva che il fatto non
costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria
da lire dieci milioni a lire cento milioni, chiunque: a)nell’effettuazione
delle operazioni di svaso sghiaiamento o sfangamento delle dighe, supera
i limiti o non osserva le altre prescrizioni contenute nello specifico
progetto di gestione dell’impianto di cui all’articolo 40, commi 2 e 3; b)effettua
le medesime operazioni prima dell’approvazione del progetto di gestione; 10/bis. Chiunque viola le
prescrizioni concernenti l’installazione e la manutenzione dei dispositivi
per la misurazione delle portate e dei volumi ovvero l’obbligo di trasmissione
dei risultati delle misurazioni di cui al comma 3 dell’articolo 22 è
punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 2 milioni a lire
10 milioni. Nei casi di particolare tenuità la sanzione è
ridotta a un quinto. 10/ter. Chiunque non ottempera
alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell’articolo 39, comma
1, lettera b), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria
da lire 2 milioni a lire 25 milioni. Articolo 55 (Sanzioni
in materia di aree di salvaguardia e modifiche al dpr 24 maggio 1988, n.
236) 1. L’inosservanza delle disposizioni
relative alle attività e destinazioni vietate nelle aree di salvaguardia
di cui all’articolo 21 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria
da lire 1 milione a lire 10 milioni. 2. Il comma 3 dell’articolo
21, del dpr 24 maggio 1988, n. 236, è sostituito dal seguente: «3.
L’inosservanza delle disposizioni dei piani di intervento di cui all’articolo
18 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 1
milione a lire 10 milioni.». 3. Il comma 4 dell’articolo
21 del dpr 24 maggio 1988, n. 236, è così modificato: «4.
I contravventori alle disposizioni di cui all’articolo 15 sono puniti con
la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 1 milione a lire 6 milioni. Articolo 56 (Competenza e
giurisdizione) 1. In materia di accertamento
degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative
pecuniarie provvede, salvo diversa disposizione delle regioni o delle province
autonome, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è
stata commessa la violazione, a eccezione delle sanzioni previste dall’art.
54, commi 8 e 9, per le quali è competente il comune, salve le attribuzioni
affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità. 1-bis. Fatto salvo quanto
previsto dal dlgs 31 marzo 1998, n. 112, alla sorveglianza e all’accertamento
degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque
dall’inquinamento e del relativo danno ambientale concorre il corpo forestale
dello stato, in qualità di forza di polizia specializzata in materia
ambientale. 2. Avverso le ordinanze-ingiunzione
relative alle sanzioni amministrative di cui al comma 1 è esperibile
il giudizio di opposizione di cui all’articolo 23 della legge 24 novembre
1981, n. 689. 3. Per i procedimenti penali
pendenti alla entrata in vigore del presente decreto l’autorità
giudiziaria, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza
di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati
al comma 1 ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative. 4. Alle sanzioni amministrative
pecuniarie previste dal presente decreto non si applica il pagamento in
misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n.
689. Articolo 57 (Proventi delle
sanzioni amministrative pecuniarie) 1. Le somme derivanti dai
proventi delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto, sono
versate all’entrata del bilancio regionale per essere riassegnate ai capitoli
di spesa destinati alle opere di risanamento e di riduzione dell’inquinamento
dei corpi idrici. Le regioni provvedono alla ripartizione delle somme riscosse
fra gli interventi di prevenzione e di risanamento. Articolo 58 (Danno ambientale,
bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati) 1. Chi con il proprio comportamento
omissivo o commissivo in violazione delle disposizioni del presente decreto
provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse
ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di inquinamento
ambientale, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi
di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree
inquinate e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero
deriva il pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo il procedimento
di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. 2. Ai sensi dell’articolo
18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, è fatto salvo il diritto ad
ottenere il risarcimento del danno non eliminabile con la bonifica ed il
ripristino ambientale di cui al comma 1. 3. Nel caso in cui non sia
possibile una precisa quantificazione del danno di cui al comma 2, lo stesso
si presume, salvo prova contraria, di ammontare non inferiore alla somma
corrispondente alla sanzione pecuniaria amministrativa, ovvero alla sanzione
penale, in concreto applicata. Nel caso in cui sia stata irrogata una pena
detentiva, solo al fine della quantificazione del danno di cui al presente
comma, il ragguaglio fra la stessa e la pena pecuniaria, ha luogo calcolando
quattrocentomila lire, per un giorno di pena detentiva. In caso di sentenza
di condanna in sede penale o di emanazione del provvedimento di cui all’art.444
del codice di procedura penale, la cancelleria del giudice che ha emanato
il provvedimento trasmette copia dello stesso al Ministero dell’ambiente.
Gli enti di cui al comma 1 dell’articolo 56 danno prontamente notizia dell’avvenuta
erogazione delle sanzioni amministrative al Ministero dell’ambiente al
fine del recupero del danno ambientale. 4. Chi non ottempera alle
prescrizioni di cui al comma 1, è punito con l’arresto da sei mesi
ad un anno e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. CAPO II: Sanzioni penali Articolo 59 (Sanzioni penali) 1. Chiunque apre o comunque
effettua nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione,
ovvero continua ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione
sia stata sospesa o revocata, è punito con l’arresto da due mesi
a due anni o con l’ammenda da lire due milioni a lire quindici milioni. 2. Alla stessa pena stabilita
al comma 1, soggiace chi - effettuando al momento di entrata in vigore
della presente decreto scarichi di acque reflue industriali autorizzati
in base alla normativa previgente - non ottempera alle disposizioni di
cui all’art. 62, comma 12. 3. Quando le condotte descritte
ai commi 1 e 2 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti
le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze
indicate nelle tabelle 5 e 3A dell’allegato 5, la pena è dell’arresto
da tre mesi a tre anni. 4. Chiunque, al di fuori
delle ipotesi di cui al comma 5, effettua uno scarico di acque reflue industriali
contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi
di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5, senza osservare
le prescrizioni dell’autorizzazione, ovvero le altre prescrizioni dell’autorità
competente a norma degli artt. 33, comma 1 e 34, comma 3 è punito
con l’arresto fino a due anni. 4-bis. Chiunque viola le
prescrizioni concernenti l’installazione e la gestione dei controlli in
automatico o l’obbligo di conservazione dei risultati degli stessi di cui
all’art. 52 è punito con la pena di cui al precedente comma 4. 5. Chiunque, nell’effettuazione
di uno scarico di acque reflue industriali, supera i valori limite fissati
nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato
5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle
province autonome o dall’autorità competente a norma dell’art. 33,
comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato
5, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da lire
5 milioni a lire 50 milioni. Se sono superati anche i valori limite fissati
per le sostanze contenute nella tabella 3A dell’allegato 5, si applica
l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da lire 10 milioni a lire
200 milioni. 6. Le sanzioni di cui al
comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento
delle acque reflue urbane che nell’effettuazione dello scarico supera i
valori limite previsti dallo stesso comma. 6-bis. Al gestore del servizio
idrico integrato che non ottempera all’obbligo di comunicazione di cui
all’art. 36, comma 3, o non osserva le prescrizioni o i divieti di cui
all’art. 36, comma 5, si applica la pena di cui all’art. 51, comma 1, del
dlgs 5 febbraio 1997, n. 22. 6-ter. Il titolare di uno
scarico che non consente l’accesso agli insediamenti da parte del soggetto
incaricato del controllo ai fini di cui all’art. 28, commi 3 e 4, salvo
che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con
la pena dell’arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di
interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell’art.
13 della legge n. 689 del 1981 e degli artt. 55 e 354 del codice di procedura
penale. 6-quater. Chiunque non ottempera
alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell’art. 39, comma 3, è
punito con le sanzioni di cui all’art. 59, comma 1. 7. Chiunque non ottempera
al provvedimento adottato dall’autorità competente ai sensi dell’articolo
10, comma 5, ovvero dell’articolo 12, comma 2, è punito con
l’ammenda da lire due milioni a lire venti milioni. 8. Chiunque non osservi i
divieti di scarico previsti dagli articoli 29 e 30 è punito con
l’arresto sino a tre anni. 9. Chiunque non osserva le
prescrizioni regionali assunte a norma dell’articolo 15, commi 2 e 3, dirette
ad assicurare il raggiungimento ovvero il ripristino degli obiettivi di
qualità delle acque designate ai sensi dell’articolo 14, ovvero
non ottempera ai provvedimenti adottati dall’autorità competente
ai sensi dell’articolo 14, comma 3, è punito con l’arresto sino
a due anni o con l’ammenda da lire sette milioni a lire settanta milioni. 10. Nei casi previsti dal
comma 9, il ministro della sanità e dell’ambiente, nonché
la regione e la provincia autonoma competente, ai quali sono inviati copia
delle notizie di reato, possono indipendentemente dall’esito del giudizio
penale, disporre, ciascuno per quanto di competenza, la sospensione in
via cautelare dell’attività di molluschicoltura e, a seguito di
sentenza di condanna o di decisione emessa ai sensi dell’art. 444 del codice
di procedura penale definitive, valutata la gravità dei fatti, disporre
la chiusura degli impianti. 11. Si applica sempre la
pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del
mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i
quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle
disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia
e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere
resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che
si verificano naturalmente in mare. Resta fermo, in quest’ultimo caso l’obbligo
della preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente. 11-bis. La sanzione di cui
al comma 11 si applica anche a chiunque effettua, in violazione dell’art.
48, comma 3, lo smaltimento dei fanghi nelle acque marine mediante immersione
da nave, scarico attraverso condotte ovvero altri mezzi o comunque effettua
l’attività di smaltimento di rifiuti nelle acque marine senza essere
munito dell’autorizzazione di cui all’art. 18, comma 2, lettera p-bis)
del dlgs 5 febbraio 1997, n. 22. 11-ter. Chiunque effettui
l’utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, delle acque di
vegetazione dei frantoi oleari nonché delle acque reflue provenienti
da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all’art. 38
al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste ovvero non ottemperi
al divieto o all’ordine di sospensione dell’attività impartito a
norma di detto articolo è punito con l’ammenda da lire 2 milioni
a lire 15 milioni o con l’arresto fino a un anno. La stessa pena si applica
a chiunque effettua l’utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle
procedure di cui alla normativa vigente Articolo 60 (Obblighi del
condannato) 1. Con la sentenza di condanna
per i reati previsti nel presente decreto, o con la decisione emessa ai
sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della
sospensione condizionale della pena può essere subordinato al risarcimento
del danno e all’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica
e ripristino di cui all’articolo 58. Articolo 61 (Circostanza
attenuante) 1. Nei confronti di chi,
prima del giudizio penale o dell’ordinanza-ingiunzione, ha riparato interamente
il danno, le sanzioni penali e amministrative previste nel presente titolo
sono diminuite dalla metà a due terzi. TITOLO VI: DISPOSIZIONI FINALI Articolo 62 (Norme transitorie
e finali) 1. Il presente decreto contiene
le norme di recepimento delle seguenti direttive comunitarie: a) direttiva 75/440/CEE relativa
alla qualità delle acque superficiali destinate alla produzione
di acqua potabile; b) direttiva 76/464/CEE concernente
l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente
idrico; c) direttiva 78/659/CEE relativa
alla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento
per essere idonee alla vita dei pesci; d) direttiva 79/869/CEE relativa
ai metodi di misura, alla frequenza dei campionamenti e delle analisi delle
acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile; e) direttiva 79/923/CEE relativa
ai requisiti di qualità delle acque destinate alla molluschicoltura; f) direttiva 80/68/CEE relativa
alla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da
certe sostanze pericolose; g) direttiva 82/176/CEE relativa
ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio
del settore dell’elettrolisi dei cloruri alcalini; h) direttiva 83/513/CEE relativa
ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di cadmio; i) direttiva 84/156/CEE relativa
ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio
provenienti da settori diversi da quello dell’elettrolisi dei cloruri alcalini; l) direttiva 84/491/CEE relativa
ai valori limite e obiettivi di qualità per gli scarichi di esaclorocicloesano; m) direttiva 88/347/CEE relativa
alla modifica dell’allegato II della direttiva 86/280/CEE concernente i
valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di talune
sostanze pericolose che figurano nell’elenco I dell’allegato della direttiva
76/464/CEE; n) direttiva 90/415/CEE relativa
alla modifica della direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e
gli obiettivi di qualità per gli scarichi di talune sostanze pericolose
che figurano nell’elenco I della direttiva 76/464/CEE; o) direttiva 91/271/CEE concernente
il trattamento delle acque reflue urbane; p) direttiva 91/676/CEE relativa
alla protezione delle acque da inquinamento provocato dai nitrati provenienti
da fonti agricole; q) direttiva 98/15/CE recante
modifica della direttiva 91/271/CEE per quanto riguarda alcuni requisiti
dell’allegato I. 2. Le previsioni del presente
decreto possono essere derogate solo temporaneamente e in caso di comprovate
circostanze eccezionali, per motivi di sicurezza idraulica volti ad assicurare
l’incolumità delle popolazioni. 3. Le regioni definiscono,
in termini non inferiori a due anni, i tempi di adeguamento alle prescrizioni,
ivi comprese quelle adottate ai sensi dell’articolo 28, comma 2, contenute
nella legislazione regionale attuativa del presente decreto e nei piani
di tutela di cui all’articolo 44, comma 3. 4. Resta fermo quanto disposto
dall’articolo 36 della legge 24 aprile 1998, n.128 e relativi decreti legislativi
di attuazione della direttiva 96/92/CE. (IL SEGUENTE COMMA E'
STATO SOPPRESSO) 5. L’abrogazione degli articoli 16 e 17 della legge 10
maggio 1976, n. 319, così come modificato ed integrato, quest’ultimo,
dall’articolo 2, commi 3 e 3-bis, del decreto legge 17 marzo 1995, n.79,
convertito, con modificazioni, della legge 17 maggio 1995, n.172, ha effetto
dall’applicazione della tariffa del servizio idrico integrato di cui agli
articoli 13 e seguenti della legge 5 gennaio 1994, n. 36. (IL SEGUENTE COMMA E'
STATO SOPPRESSO) 6. Il canone o diritto di cui all’articolo 16 della legge
10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni continua ad applicarsi
in relazione ai presupposti di imposizione verificatisi anteriormente all’abrogazione
del tributo ad opera del presente decreto. Per l’accertamento e la riscossione
si osservano le disposizioni relative al tributo abrogato. 7. Per quanto non espressamente
disciplinato dal presente decreto, continuano ad applicarsi le norme tecniche
di cui alla delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle
acque del 4 febbraio 1977 e successive modifiche ed integrazioni, pubblicata
sulla Gazzetta ufficiale n. 48 del 21 febbraio 1977. 8. Le norme regolamentari
e tecniche emanate ai sensi delle disposizioni abrogate con l’articolo
63 restano in vigore, ove compatibili con gli allegati al presente decreto
e fino all’adozione di specifiche normative in materia. 9. Le aziende agricole esistenti
tenute al rispetto del codice di buona pratica agricola ai sensi dell’articolo
19, comma 5, devono provvedere all’adeguamento delle proprie strutture
entro due anni dalla data di designazione delle zone vulnerabili da nitrati
di origine agricola 10. Fino all’emanazione della
disciplina regionale di cui all’art. 38, le attività di utilizzazione
agronomica sono effettuate secondo le disposizioni regionali vigenti alla
data di entrata in vigore del presente decreto. 11. Fatte salve le disposizioni
specifiche previste dal presente decreto, i titolari degli scarichi esistenti
devono adeguarsi alla nuova disciplina entro tre anni dalla data di entrata
in vigore del presente decreto. Lo stesso termine vale anche nel caso di
scarichi per i quali l’obbligo di autorizzazione preventiva è stato
introdotto dalla presente normativa. I titolari degli scarichi esistenti
e autorizzati procedono alla richiesta di autorizzazione in conformità
alla presente normativa allo scadere dell’autorizzazione e comunque non
oltre quattro anni dall’entrata in vigore del presente decreto. Si applicano
in tal caso il terzo e quarto periodo del comma 7 dell’art. 45. 12. Coloro che effettuano
scarichi esistenti di acque reflue, sono obbligati, fino al momento nel
quale devono osservare i limiti di accettabilità stabiliti dal presente
decreto, ad adottare le misure necessarie a evitare un aumento anche temporaneo
dell’inquinamento. Essi sono comunque tenuti a osservare le norme, le prescrizioni
e i valori limite stabiliti, secondo i casi, dalle normative regionali
ovvero dall’autorità competente ai sensi dell’art. 33 vigenti alla
data di entrata in vigore del presente decreto, in quanto compatibili con
le disposizioni relative alla tutela qualitativa e alle scadenze temporali
del presente decreto e, in particolare, con quanto già previsto
dalla normativa previgente. Sono fatte salve in ogni caso le disposizioni
più favorevoli introdotte dal presente decreto. 13. Dall’attuazione del presente
decreto non devono derivare maggiori oneri o minori entrate a carico del
bilancio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dal comma 14. 14. Le regioni, le provincie
autonome e gli enti attuatori provvedono agli adempimenti previsti dal
presente decreto anche sulla base di risorse finanziarie definite da successive
disposizioni di finanziamento nazionali e comunitarie. 14-bis. In attuazione delle
disposizioni statali di finanziamento di cui al comma 14, una quota non
inferiore a 10 e non superiore al 15% degli stanziamenti è riservata
alle attività di monitoraggio e studio destinati all’attuazione
del presente decreto. 15. All’articolo 6, comma
1, del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni,
dalla legge 23 maggio 1997, n.135, così come sostituito dall’articolo
8, comma 2, della legge 8 ottobre 1997, n. 344, le parole: “tenendo conto
della direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente
il trattamento delle acque reflue urbane” sono sostituite dalle seguenti
“tenendo conto del decreto legislativo recante disposizioni sulla tutela
delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE
concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva
91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato
dai nitrati provenienti dalle fonti agricole”. 15-bis. Restano ferme le
norme della legge 11 dicembre 1982, n. 979. Articolo 63 (Abrogazione
di norme) 1. Fermo restando quanto
previsto dall’articolo 3, comma 2, a decorrere dalla data di entrata in
vigore del presente decreto sono abrogate le norme contrarie o incompatibili
con il medesimo, ed in particolare: -legge
10 maggio 1976, n.319; -legge
8 ottobre 1976, n.690, di conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 10 agosto 1976, n.544; -legge
24 dicembre 1979, n.650; -legge
5 marzo 1982, n.62, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge
30 dicembre 1981, n.801; -decreto
del Presidente della Repubblica 3 luglio 1982, n.515; -legge
25 luglio 1984, n.381 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge
29 maggio 1984, n.176; -gli
articoli 4 e 5 della legge 5 aprile 1990, n.71 di conversione in legge,
con modificazioni, del decreto-legge 5 febbraio 1990, n.16; -decreto
legislativo 25 gennaio, 1992, n.130; -decreto
legislativo 27 gennaio, 1992, n.131; -decreto
legislativo 27 gennaio, 1992, n.132; -decreto
legislativo 27 gennaio, 1992, n.133; -articolo
2, comma 1, della legge 6 dicembre 1993, n. 502, di conversione in legge,
con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 408; -articolo
9-bis della legge 20 dicembre 1996, n. 642, di conversione in legge, con
modificazioni, del-decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 552; -legge
17 maggio 1995, n. 172, di conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 17 marzo 1995, n.79. 2. Sono fatti salvi, in ogni
caso, gli effetti finanziari derivanti dai provvedimenti di cui al comma
1. Si
riportano i due articoli finali del decreto "acque - bis" Art. 25 Modifiche agli allegati 1. Gli allegati del dlgs
n. 152 del 1999 sono sostituiti dagli allegati al presente decreto. Art. 26 Abrogazioni 1. Sono abrogati: - l’art. 42, comma terzo
del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 come modificato dall’art. 8
del dlgs 12 luglio 1993, n. 275; - gli artt. 5, 6 e 7 della
legge 24 gennaio 1986, n. 7, di conversione del dl 25 novembre 1985, n.
667; - gli artt. 4, 5, 6 e 7 del
dpr 24 maggio 1988, n. 236. Il presente decreto, munito
del sigillo dello stato, sarà inserito nella raccolta ufficiale
degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo
a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
ALLEGATI Allegato
1: Monitoraggio e classificazione
Allegato 2:
Criteri per la classificazione
Allegato
3: Rilevamento delle caratteristiche
Allegato 4: Contenuti
dei piani di tutela
Allegato 5: Limiti
di emissione degli
Allegato 6: Criteri per la
individuazione
Allegato 7:
|